Mis(S)conosciute - La newsletter #44 - "The empire writes back", Ghada Karmi e Tina Merlin
Durante una conversazione realmente avvenuta, una donna di mezza età che lavora nella segreteria di una scuola elementare di un paese dell'agro nocerino - terra di braccianti (immigrati) e caporalato - ha affermato quanto segue: “i bambini oggi sono razzisti! Effettivamente però c’è da dire che è pure normale visto che siamo invasi dagli immigrati! Nelle classi sono quasi tutti stranieri!” . Visto che ci trovavamo in una situazione sociale che non prevede discussioni animate tra i partecipanti, l’unica risposta che questa persona ha ricevuto si è limitata a sottolineare che frutta e ortaggi, che ogni giorno lei e la sua famiglia consumano, arrivano sulla sua tavola grazie alla fatica, al lavoro e ai sacrifici dei genitori di quei piccoli invasori. La sua invettiva si è magicamente interrotta.
Questa dialettica del “noi contro di loro” è antica come il mondo umano e la logica guerrafondaia che domina la scena geopolitica contemporanea non fa che confermarla. In un articolo che abbiamo inserito tra i consigli di lettura nella Mis(S)cellanea di questo mese c’è un pezzo del giornalista Pankaj Mishra (vincitore del Weston International Award 2024) in cui l’autore riflette sullo sforzo necessario che tutt* dovremmo fare per cambiare il paradigma culturale che ci ingabbia. Un punto di partenza utile per mettere meglio a fuoco la realtà globale che viviamo è il concetto di “colonizzazione/decolonizzazione”, fenomeno che ha largamente contribuito a disegnare la configurazione mondiale in cui siamo immersi.
In un’intervento tenuto lo scorso aprile all’Università del Massachusetts, la filosofa Silvia Federici ha ricordato che “Il colonialismo non è finito. Al contrario. Stiamo assistendo a un intenso processo di ricolonizzazione”.
Partire dunque da un’analisi dei fatti che tenga conto del meccanismo dominante/dominato (che nella storia coloniale il più delle volte è violento e abusante) aiuterebbe a comprendere i motivi per cui il dominato a un certo punto, storicamente, si rivolta.
Nel 1982, in un articolo apparso sul The Times of London, lo scrittore Salman Rushdie scrive The empire writes back to the center, riferendosi al fatto che dalle profondità degli imperi coloniali (teoricamente) smantellati si levano le voci di coloro che per lungo tempo sono stati silenziati e marginalizzati, occupando degli spazi per rivendicare una propria narrazione, per raccontarsi e non essere raccontati.
La frase di Rushdie qualche anno dopo, nel 1989, ha dato il titolo a un testo che è uno dei capisaldi dello studio della letteratura postcoloniale: The empire writes back degli studiosi Ashcroft, Griffiths e Tiffin. Nelle primissime righe della prefazione gli autori e l’autrice scrivono:
More than three-quarters of the people living in the world today have had their lives shaped by the experience of colonialism. It is easy to see how important this has been in the political and economic spheres, but its general influence on the perceptual frameworks of contemporary peoples is often less evident. Literature offers one of the most important ways in which these new perceptions are expressed and it is in their writing, and through other arts such as painting, sculpture, music, and dance that the day-to-day realities experienced by colonized peoples have been most powerfully encoded and so profoundly influential.
La letteratura è uno degli strumenti attraverso cui voci silenziate trovano uno spazio espressivo per narrarsi e rivendicare la propria esistenza in una realtà storica che spesso assume come valido e veritiero un unico punto di vista.
Gli esempi che potremmo fare sono molteplici: pensiamo alla conquista dell’America, terra di “selvaggi” da “civilizzare”, alla tratta degli schiavi, forza lavoro per le colonie, e alla piaga della conseguente segregazione razziale negli Stati Uniti, una delle tematiche fondamentali nell’opera della scrittrice afro americana Toni Morrison.
Premio Nobel per la letteratura nel 1993, Morrison ridà voce e spazio nei suoi romanzi e racconti a donne razzializate colpite dal dramma della schiavitù. Storie che ridanno voce a un soggetto storico, spesse volte imprevisto e dissidente, di cui noi con il progetto Mis(S)conosciute ci occupiamo: le donne.
La letteratura scritta da donne è parte di questo meccanismo egemonico che tende a silenziare voci che ne contraddicono i valori fondanti. Il canone letterario, il monolite culturale che tentiamo quotidianamente di scalfire e che è centrale nella nostra ricerca, racconta una sola versione della storia del mondo (occidentale), che le narrazioni altre, che provengono da altri soggetti, contribuiscono a completare. La riscoperta e rivalutazione della letteratura scritta da donne (come il nostro filone di ricerca sulla Resistenza e sulle scrittrici partigiane) e della cultura letteraria proveniente da realtà sociali, culturali e politiche colonizzate e decolonizzate è fondamentale per tentare di cambiare il paradigma che ci ingabbia. La cultura plasma la nostra percezione della realtà, e una cultura fondata sul “noi contro di loro” contribuisce a fomentare meccanismi egemonici e pericolosamente reazionari.
Cosa possiamo fare, allora, per togliere i paraocchi e comprendere le ragioni profonde di ciò che accade? Prestare ascolto, innanzitutto, e spogliarci dei preconcetti.
E veniamo all’oggi: da ormai un anno con Frida e Giulia di Oriental Book Club e Federica Marri tentiamo di prestare ascolto alla questione palestinese nella rubrica “Focus Palestina”: voci di scrittrici palestinesi raccontano, spesso inascoltate, la drammatica realtà di un popolo tornato a occupare violentemente gli spazi delle cronache occidentali (e per approfondire i molto problemi dell’informazione nostrana sulla questione israelo-palestinese rimandiamo a questo post), puntando nuovamente i riflettori su quel pezzetto di terra contesa che da oltre un secolo è la Palestina. Una terra in cui vige un regime coloniale di apartheid: termini che sembrano provenire da un’altra epoca concettualmente superata e che invece purtroppo sono più attuali che mai.
Le città sono storie, e io ricordo solo quelle che ho vissuto in prima persona, e frammenti delle tue, di quelle che hai vissuto tu, anche se mutilate. E ricordo bene le loro storie, quelle che ho imparato a scuola, ascoltato alla televisione, letto e scritto nei compiti in classe e agli esami, per essere promosso. Dovevo raccontare le loro storie, se volevo andar bene a scuola e all’università. Ecco perché le so a memoria, proprio come il numero della mia carta d’identità. L’ho mandato bene a mente, sono in grado di ripeterlo in qualunque momento. Per superare gli esami ho memorizzato le loro storie, i loro sogni bianchi su questo posto. Ma ho sepolto dentro di me le mie storie, le tue e quelle degli altri come noi. La memoria si eredita, come il colore degli occhi e della pelle. Ereditiamo le risate così come il pianto. Ah, come mi fa male la tua memoria, il lascito che ho ricevuto da te!
Ibtisam Azem, Il libro della scomparsa.
L’impero scrive di rimando, e quella della Palestina è decisamente una storia coloniale: la storia di un imperialismo di ieri e di un'egemonia culturale di oggi, di un “genocidio dell’anima”, per usare le parole di Silvia Federici, in cui noi, Italia, Europa, Occidente, siamo pienamente implicati.
Si sprecano fiumi di inchiostro sulla carta stampata e digitale e maree di parole televisive e social sulla guerra e sul genocidio. Molte meno riflessioni si soffermano sulle possibili soluzioni a un conflitto che come unica fine pare prevedere lo sterminio e l’annientamento impunito di un intero popolo e la conquista attraverso la forza di un’intera area geografica, strategie militari giustificate dall’ormai noto ritornello del “diritto alla difesa”, che però pertiene sempre e solo a una sola parte in causa.
Non alimenteremo ulteriormente il rumore di fondo sulla questione.
Ci limitiamo a sottolineare che un punto di partenza fondamentale, a nostro avviso, sarebbe scardinare finalmente questa costante visione conflittuale e nichilista delle cose e del mondo: un perpetuo “noi contro di loro”, “noi contro di voi”, “civilizzati contro selvaggi” che non fa che alzare muri (reali e metaforici) e rendere irrealizzabile qualsiasi soluzione realistica e pacifica che non preveda l’uso di violenza e delle sempre più distruttive logiche e tecnologie belliche.
Come Silvia Federici ha ribadito nell’intervento di aprile citato all’inizio, le bombe che cadono sui paesi del cosiddetto “Sud globale”, Palestina inclusa, ci riguardano da vicino, cadono anche su di noi: è con i soldi delle tasse dei cittadini che si finanzia il settore della difesa negli USA e in Israele come in Italia, soldi che potrebbero essere spesi per migliorare le infrastrutture, il sistema sanitario, il sistema scolastico, la salvaguardia ambientale, ovvero tutte quelle strutture che secondo la filosofa sono parte del “sistema riproduttivo” di una società. Che sforzo collettivo bisogna fare, allora, per cambiare le cose? Un buon punto di partenza sarebbe partire da una forma di convivenza sociale che metta al centro la vita delle persone e non la loro distruzione.
Venerdì 18 ottobre 2024 ore 9-13 - Convegno internazionale Goliarda Sapienza tra le arti - Université Sorbonne Nouvelle [PARIGI]
Il 17 e il 18 ottobre parteciperemo al convegno dedicato a Goliarda Sapienza organizzato dal Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges (CIRCE) dell’università Sorbonne Nouvelle di Parigi in collaborazione con l’università di Catania e l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Interverremo nel panel Une écriture plurielle entre cinéma, théâtre et radio, presentando il percorso di ricerca e il metodo di costruzione che abbiamo messo a punto per realizzare il podcast Gagliarda Potenza. Vita e opere straordinarie di Goliarda Sapienza.
Venerdì 1 novembre 2024 ore 17:00 - STAI ZITTA - TEATRO SALA UMBERTO [ROMA]
Al termine dello spettacolo Stai zitta, tratto dal saggio omonimo di Michela Murgia, converseremo con le protagoniste Antonella Questa, Valentina Melis e Teresa Cinque e la regista Marta Dalla Via sul perché, per le donne, prendere la parola per esprimersi e per decostruire gli stereotipi di genere è ancora uno degli atti più rivoluzionari (e socialmente mal tollerati) che ci siano.
Stai zitta è in scena al Teatro Sala Umberto dal 31 ottobre al 3 novembre.
INTERMEZZI PALESTINESI di Federica Marri
Intermezzi Palestinesi, una rubrica curata da Federica Marri: condividiamo le sue cronache dai Territori palestinesi occupati, quei fatti grandi e piccoli che inframezzano la sua vita e, di rimando, quella di chi le presta ascolto. Un nuovo spazio della newsletter Mis(S)conosciute - Scrittrici (e altre cose) tra parentesi, pensato per allargare la partecipazione ad una riflessione collettiva approfondita e urgente.
Parlare di (geo)politica, democrazia, diritti, diritto internazionale con i/le palestinesi è una delle cose più goduriose che possano capitare.
Primo perché c’è un livello di conoscenza e informazione su questi argomenti diffuso e di qualità; secondo perché c’è una altrettanto diffusa dialettica democratica che si pratica in ogni spazio sociale a partire dalle case che – anche architettonicamente – riflettono questa “vizio” al confronto.
Ma su questo punto ci ritorno fra un attimo.
Al di fuori delle case, gli spazi sociali dialettici si incontrano passando per i bar-solo-per-maschi, dove fra una partita a carte e una a taule il confronto è vivacissimo, così come nei caffè e nei ristoranti dove si chiacchiera, si esprimono idee, opinioni, punti di vista, si tenta di fare previsioni, si discute animatamente.
Focus Palestina - Oriental Book Club
Gli approfondimenti dedicati alla letteratura palestinese in cui con le autrici e curatrici del progetto divulgativo Oriental Book Club raccontiamo ogni mese una scrittrice palestinese da scoprire.
La scrittrice: Ghada Karmi
Quando Israele è stato creato nel 1948, tre quarti della popolazione palestinese nativa sono fuggiti o sono stati espulsi dai soldati del nuovo stato. La Nakba, come è stata chiamata questa catastrofe, ha avuto effetti disastrosi sui palestinesi, che sono stati condannati a vivere in campi profughi amministrati dall’ONU o sono andati in esilio a lungo termine nei vari paesi del mondo.
Questo evento catastrofico è stato traumatico a tutti i livelli, dal più ovvio al più sottile. Le sue conseguenze per i palestinesi furono di lunga durata e talvolta non vennero riconosciute. Una delle più malefiche di queste conseguenze è stata la frammentazione dell’identità palestinese. Sottile e lenta a svilupparsi, è stata trascurata o poco compresa per anni. Eppure è stato un esito non meno pernicioso degli altri mali più drammatici del rifugiarsi e dell’esilio.
Cresciuta in Inghilterra, dove ci eravamo rifugiati nel 1949, non sono mai stato privata di cibo, alloggio, istruzione o dei servizi di base della vita quotidiana. Tuttavia, anche se allora non lo sapevo, ne ero ancora privata. Dal momento in cui lo shock dell’esilio si era attutito e mi ero abituata alla vita in Inghilterra, ricordo che le domande sull’identità cominciavano a tormentarmi. Chi ero veramente, mi chiedevo: araba palestinese? Inglese? Musulmana? Nessuna di queste o tutte?
(da un intervento di Ghada Karmi pubblicato nell’agosto 2021 dall’Associazione Cultura è Libertà)
Ghada Karmi è un medico, una scrittrice, accademica e attivista politica. È nata nel 1939 a Gerusalemme da una famiglia musulmana. Suo padre, Hasan Sa'id Karmi, era palestinese, mentre sua madre siriana. Figlia minore dopo una sorella, Siham, e un fratello Ziyad, trascorre la sua infanzia a Qatamon, un quartiere della zona centro-meridionale della città, l’attuale Gerusalemme Ovest.
Durante il conflitto tra il 1947 e il 1948, Qatamon fu teatro di numerosi scontri, in particolare si ricorda l’attentato al Semiramis Hotel. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1948, l’Haganah, l’organizzazione paramilitare israeliana in Palestina durante il mandato britannico, compì un attentato dinamitardo, provocando più di una ventina di vittime.
Dopo questo episodio, che segnò profondamente gli abitanti arabi di Gerusalemme, Ghada Karmi fuggì insieme alla sua famiglia. Nell’aprile 1948 si rifugiò infatti a Damasco, dai nonni materni.
Dopo un anno e mezzo di permanenza in Siria, vista la mancanza di prospettive e di lavoro dovuta anche alla massiccia migrazione di profughi palestinesi, i Karmi si stabilirono a Golders Green, nella parte settentrionale di Londra, dove suo padre lavorava per il BBC Arabic Service come traduttore e conduttore televisivo.
Oriental Book Club è un podcast e un progetto di divulgazione letteraria indipendente pensato e scritto da Giulia&Frida. Si occupa di libri dal Mediterraneo, dal mondo arabo e persiano e dall’Asia.
Ma è proprio la politica che mi fa veramente vivere. Il mondo che sognavo da bambina, quand’ero a servire, mi s’è aperto, esiste, io esisto col mondo. (...) ho già conquistato molto per me, sono uscita da un’ignoranza abissale, adesso so tante cose: perché esistono i poveri, perché sono andata a servire, perché ci sono le guerre. Mi sento ricca d’esperienza e di conoscenza. Uguale, finalmente, agli altri. Allegra di vivere. Con tante speranze per me e per mio figlio. Lo guardo giocare, spensierato, nel prato di Santa Tecla e dico fra me: ecco, tu avresti potuto essere un altro bambino, come lo furono tua madre e i tuoi zii, se non ci fosse stata la rivoluzione. O una mezza rivoluzione.
Sono parole della scrittrice Tina Merlin, tratte dal suo splendido libro Io esisto con il mondo.
Un anno fa, in occasione del 60° anniversario della catastrofe del Vajont, abbiamo pubblicato - in collaborazione con Vera Santillo del podcast Protagoniste - un episodio speciale del podcast Mis(S)conosciute - Scrittrici tra parentesi dedicato alla scrittrice, partigiana, giornalista e attivista politica Tina Merlin, bellunese, nota (?) ai più per aver documentato con coraggio e tenacia ineguagliabili le vicende che portarono ad una delle pagine più vergognose della Storia del nostro paese. Per questo anniversario, vi riproponiamo l’episodio del podcast e l’articolo della rubrica Bio(S)conosciute!
L’episodio si può ascoltare su tutte le piattaforme!
TINA MERLIN (1926-1991)
Ma è proprio la politica che mi fa veramente vivere. Il mondo che sognavo da bambina, quand’ero a servire, mi s’è aperto, esiste, io esisto col mondo. (...) ho già conquistato molto per me, sono uscita da un’ignoranza abissale, adesso so tante cose: perché esistono i poveri, perché sono andata a servire, perché ci sono le guerre. Mi sento ricca d’esperienza e di conoscenza. Uguale, finalmente, agli altri. Allegra di vivere. Con tante speranze per me e per mio figlio. Lo guardo giocare, spensierato, nel prato di Santa Tecla e dico fra me: ecco, tu avresti potuto essere un altro bambino, come lo furono tua madre e i tuoi zii, se non ci fosse stata la rivoluzione. O una mezza rivoluzione.
da Io esisto con il mondo
Clementina Merlin nasce a Santa Tecla, Trichiana (Belluno), nei pressi del torrente Marteniga, il 19 agosto 1926 da Cesare Merlin e Rosa Dal Magro, ultimogenita dopo Ida, Giuseppe Benvenuto (Nuto) (morto bambino per l’influenza spagnola), Remo, Antonio ("Toni") e Giuseppina (Pina). La madre aveva altri due figli, Luigi e Clemente (morto a 2 anni di meningite), dal matrimonio precedente con Benvenuto Tacca. Luigi era morto di pellagra ancora bambino.
Arriva alla quarta elementare e poi va a “servizio” presso diverse famiglie alto borghesi di Milano, città in cui già lavorano come serve anche le sorelle Ida e Giuseppina. Tina soffre della condizione di violenta e insensata subalternità in cui la condizione di serva la pone e avverte tutta la brutalità del conflitto di classe. Inizia a non poter soffrire le ingiustizie.
Non so se fosse un gagliardo seppur inconsapevole istinto di classe a spingermi alla ribellione oppure un sentimento Cristiano contro le ingiustizie assimilato a modo mio frequentando la chiesa del paese. Sta di fatto che non sopportavo il non senso, le umiliazioni gratuite, il sentirmi discriminata solo perché ero “la serva”. Sapevo benissimo quale era il mio posto e il posto dei padroni nella società, ma un altro conto era la valutazione morale, umana, della persona che solo io, imparai ben presto, consideravo egualitaria, mentre i miei padroni la facevano scendere direttamente dalla condizione sociale. I buoni, i bravi, i giusti, i rispettati e i rispettabili erano per eccellenza loro. Io dovevo essere cattiva, sporca, ignorante come s’addiceva al mio mestiere di serva, quasi schiava.
da La casa sulla Martiniga
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