Mis(S)conosciute - La newsletter #19: Lorenza Mazzetti, Roberta Lippi, Carrie Fisher e Alice Munro
Scrittrici (e altre cose) tra parentesi
Ciao!
Questa è la newsletter di Mis(S)conosciute - scrittrici tra parentesi: noi siamo Giulia Morelli, Maria Lucia Schito e Silvia Scognamiglio e in questo spazio parliamo di tutto ciò di cui secondo noi si parla ancora troppo poco e di tutte quelle tematiche sulle quali vorremmo porre l’accento e accendere riflessioni.
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N.B 2: Da marzo 2022 abbiamo deciso di riportare la newsletter al nostro primo amore: l’audio. I numeri della newsletter sono “ascoltabili” su Spreaker e su tutte le piattaforme!
Benritrovat*!
Speriamo che le vacanze vi abbiano temprat* a sufficienza - nello spirito e nel corpo - per affrontare il lungo inverno che ci attende e che non sarà una passeggiata… o forse sì. Dovremo imparare a vivere con meno e forse questo ci aiuterà a capire un paio di cose rispetto alle prospettive di sviluppo che avevamo quasi sempre preso per buone: ci auguriamo davvero che non tutti i mali vengano per nuocere.
Passando a noi, la newsletter è ricca di novità: l’autunno ci aspetta con un bel po’ di cose da fare, prima su tutte la famigerata spedizione dei poster-iceberg delle Scrittrici italiane del ‘900, che sono ancora acquistabili online e che, se li prenotate adesso, riceverete a stretto giro!
Cominciamo dunque a snocciolare i nostri impegni a partire dalla conferenza stampa parmigiana del 13 settembre in cui presenteremo Oltre il Canone, la nuova stagione culturale della città di Parma realizzata nell’ambito del bando “Leggere crea indipendenza” di Fondazione Cariparma e curata da Scintille Bookclub e da noi Mis(S)conosciute, partner di questo articolatissimo progetto lungo un anno che vi racconteremo in itinere nel corso dei prossimi mesi.
A ottobre inizia poi il corso online di podcast in 5 incontri che curiamo per Penelope Story Lab: si svolgerà su Zoom e se avete voglia di approfondire e sperimentare la scrittura, il montaggio e la sonorizzazione per l’audio insieme a noi Mis(S)conosciute - che, per inciso, lavoriamo da anni in ambito audiovisivo, oltre a deliziarvi con le scrittrici dimenticate, qui, su Instagram e sulle principali piattaforme d’ascolto - trovate tutte le info sul corso (calendario, orari, modalità, contenuti, ecc.) e l’iscrizione qui.
Come vedrete, in questa newsletter compare una nuova rubrica, (S)marginamenti, che più che una rubrica è uno spazio di espressione, che si protrarrà nei prossimi numeri, che accoglie le riflessioni sulla maternità di una nostra cara amica e sodale, Lidia Leta. Lidia ha avuto una figlia ormai un paio di anni fa e dopo un lungo silenzio ha deciso di metterci a parte di come la maternità l’ha cambiata, in meglio e in peggio, perché, come non ci si stanca mai di ripetere, la genitorialità, soprattutto delle donne, non è tutta rose e fiori, anzi, e il tanto declamato e innato amore incondizionato verso i figli, in realtà, deve sottostare a un’infinità di condizioni di cui non sempre i futuri e neo-genitori sono consapevoli fino in fondo. Speriamo che i pensieri di Lidia vi accompagnino e vi inducano a ragionare in modo più aperto e libero su temi che ci riguardano tutte e tutti ma sui quali gravano ancora tabù ancestrali, non detti inconfessabili, reticenze nocive. Per noi ospitarla e leggerla è un grande piacere!
Infine, qualche fugace considerazione di carattere politico: tra poco più di due settimane ci attendono le urne. Sarà una pugna davvero aspra e per la prima volta rischiamo - mai verbo fu più calzante - di ritrovarci con una premier ultraconservatrice, Giorgia Meloni, alla guida del Paese. Per ragioni squisitamente ideologiche, ci auguriamo che questo scenario - altamente probabile - non si concretizzi ma è inevitabile per noi interrogarci sul perché è ancora così difficile per le donne fare la differenza in politica ossia esercitare una vera politica della differenza.
Quelle che riescono a imporsi, a conquistare il potere, a ben vedere, oltre a essere quasi tutte conservatrici e quindi ancorate ad un’ideologia identitaria precisa, nel cui retroterra sono ancora radicati pregiudizi violenti contro l’emancipazione femminile, i diritti riproduttivi e, insomma, i diritti tout court, non fanno altro che replicare un paradigma di gestione del potere che è quello patriarcale, arrogante, prevaricatore, machista. Ma a sinistra le cose non stanno molto diversamente: di recente ci ha colpito la polemica sulle foto del party a cui ha partecipato la premier socialdemocratica finlandese Sanna Marin, attaccata da stampa e detrattori per aver ballato e bevuto a una festa privata e che per “discolparsi” si è anche sottoposta a un test anti-droga, risultato negativo.
Sicuramente, in quanto donna, la veemenza di un attacco che riguarda più il profilo sociale e di genere che istituzionale dell’individuo si è abbattuta su di lei con maggior fragore rispetto a quanto non sarebbe accaduto ad un suo omologo dotato di gonadi, ma a noi ha fatto specie che si siano spesi fiumi d’inchiostro, sui social e sui giornali, su questo incidente - certamente sintomatico di un atteggiamento moralisticamente misogino, che non colpisce con altrettanta durezza gli uomini di potere, liberi di folleggiare dove, come e con chi vogliono, escort e minorenni incluse - e non una parola, per lo meno nella nostra bolla, sia stata proferita rispetto alle scelte politiche di carattere internazionale attuate dalla Marin in questi ultimi mesi, tra le quali ci è sembrata piuttosto cruciale la decisione di abbandonare la storica neutralità della Finlandia per aderire alla Nato, in previsione di una possibile minaccia russa al confine (la Svezia ha seguito a ruota questo iter ratificato da Biden ai primi di agosto).
Ecco, questa scelta, naturalmente legittima, secondo noi - che non siamo certamente esperte di geopolitica - rientra perfettamente nel paradigma del potere patriarcale: obbedire alle direttive gerarchiche (insomma, la legge del più forte, in questo caso Washington), reagire muscolarmente e velocemente, quasi d’impulso ad una minaccia esterna, quasi senza considerare - ci pare - le implicazioni a lungo termine della rinuncia a una condizione - quella della neutralità - che perdurava, non a caso, da quasi 80 anni nel Paese e il cui mantenimento avrebbe forse consentito alla Finlandia di esercitare un ruolo di mediazione diplomatica importante nel conflitto in atto in Ucraina, le cui conseguenze si stanno drammaticamente allargando ben oltre i confini dello stato sovrano invaso criminalmente da Putin.
Ora, forse ciò che diciamo è pura speculazione ma ci piacerebbe vedere una politica esercitata dalle donne - soprattutto da quelle come la Marin, che ha la nostra età ed è di sinistra - che avesse il coraggio di attuare uno strappo rispetto ai modelli di potere secolari che ci gravano sulle spalle: soft-power al posto dei muscoli, discorsi al posto di minacce, creazione di relazioni al posto della distruzione globale a cui sembrano malcelatamente puntare i capi di stato maschi 70-80enni delle Grandi Potenze.
Cambiare il paradigma, poco alla volta ma per sempre. La neo-elezione di Liz Truss alla testa del partito conservatore e a Primo Ministro del Regno Unito non ci fa granché ben sperare, la possibilità di Giorgia Meloni alla guida di un governo di destra in Italia ancora meno, e, guardando a sinistra, ci sembra di vedere ancora troppo poco coraggio, troppa poca differenza nella politica delle donne.
COSE CHE ABBIAMO FATTO E CHE FAREMO (DAL VIVO E ONLINE!)
MIS(S)CONOSCIUTE AL RETROBOTTEGA di BOOKOLICA: La letteratura sommersa [online]
Il 26 agosto siamo state ospiti del RetroBottega organizzato su Twitch dal festival Bookolica - un’anteprima online delle giornate dal vivo ancora in corso nel Nord della Sardegna - , con Eleonora Reggiori e Martina Madia di @menzognesortilegi con le quali abbiamo chiacchierato del nostro progetto, della letteratura sommersa che cerchiamo di far venire a galla ogni giorno, di scuola e università, di sguardo maschile interiorizzato e di tanto altro! La diretta è ancora visibile su Twitch e su Youtube!
MIS(S)CONOSCIUTE AL FLIP FESTIVAL [Pomigliano D’Arco - NA ]
Sabato 3 settembre alle 15:00 siamo state ospiti del Flip Festival di Pomigliano D’Arco (NA). Con Luisa Russo e Annalisa Sirignano di Ti leggiamo una femminista, Emanuela Cocco e Carla De Felice abbiamo parlato di letteratura, scrittrici, podcast e femminismo!
INCONTRO GENIUS SCUOLA DI SCRITTURA [Roma]
Il 6 settembre Maria Lucia è stata nuovamente ospite della Scuola di Scrittura Genius a Roma: il tema dell’incontro è stato il podcast e il nostro progetto!
CONFERENZA STAMPA “OLTRE il CANONE” con SCINTILLE BOOKCLUB [Parma]
Il 13 settembre alle ore 18:30 presso Lostello di Parma presenteremo “Oltre il Canone”, la nuova stagione culturale della città di Parma realizzata nell’ambito del bando “Leggere crea indipendenza” di Fondazione Cariparma, curata da Scintille Bookclub e Mis(S)conosciute.
La manifestazione “Oltre il Canone” si propone di ascoltare le voci fuori dal canone consolidato, trovare nuovi mezzi per avvicinarsi alla lettura e nuovi mezzi narrativi e produttivi per esprimersi e portare avanti racconti che reinventino, ri-codifichino, superino e scavallino il canone letterario. Il progetto si articolerà durante tutto l’anno con incontri del club di lettura, workshop, corsi, momenti di incontro dal vivo con autrici e autori, un festival e tanto altro! Per saperne di più seguiteci sui nostri social e su quelli di Scintille Bookclub!
CORSO DI PODCAST in collaborazione con PENELOPE STORY LAB [online]
Dopo le esperienze di workshop dal vivo e nelle scuole, finalmente questo autunno Mis(S)conosciute propone un corso di podcast online in collaborazione con la scuola di scrittura Penelope Story Lab! A inizio ottobre partirà una serie di 5 lezioni online per dotarsi degli strumenti utili a scrivere e auto-produrre un podcast di argomento culturale.
Il corso si svolgerà una volta a settimana in un orario da definire (ma comunque comodo per chi lavora, tendenzialmente tardo pomeriggio/sera) e si rivolge a chiunque abbia un’idea di podcast da sviluppare ma non sa da dove partire e ha bisogno di conoscere gli strumenti, le modalità e le tecniche per poter auto-produrre e distribuire un podcast di argomento letterario e/o culturale.
Per avere più informazioni sull'iniziativa, per conoscere costi, tempistiche e modalità di iscrizione si può scrivere una mail a penelopestorylab@gmail.com o visitare lo shop sul sito di Penelope Story Lab!
Uno spazio in cui una scrittrice ospite consiglia ai lettori di #missconosciute un’autrice da leggere: la sua autrice preferita, una scrittrice troppo poco nota, poco pubblicata, un libro poco conosciuto di un’autrice famosa o la scrittrice che secondo lei tutti dovrebbero leggere.
Roberta Lippi legge Alice Munro e Carrie Fisher
Roberta Lippi è nata a Milano nel 1974.
Autrice radiofonica e televisiva, ha lavorato per MTV Italia e Condé Nast dove è stata caporedattore di Vogue.it. Responsabile dello sviluppo dei nuovi contenuti per diverse case di produzione televisive e per FeST - Il festival delle serie tv, ha scritto: E comunque non sei Kate Moss, E comunque non sei Ryan Gosling, Wild Wild Sheela. Le 100 cose che Wild Wild Country non vi ha detto e state cercando su Google, The Magazine (Sperling & Kupfer). Ha scritto a voce due podcast per storielibere.fm: Soli e Love Bombing.
Soli è il primo podcast italiano ad avere avuto una versione internazionale. Co-conduce Doc- Tratti da una storia vera su Radio Popolare. Ieri, 7 settembre, è uscito il primo episodio del suo nuovo podcast Dragon Lady. L’ultima testimone.
ALICE MUNRO E CARRIE FISHER
“Dice che semplicemente non riesce a guardare la superficie dell’acqua senza vedere tutto quello che ci sta sotto e che non si può immaginare se non si è mai visto”
Ci ho messo un po’ a decidere quale fosse l’autrice giusta da consigliare in questo momento. Non volevo andare a scavare troppo lontano nel tempo, né cercare qualcosa di davvero dimenticato. Ho preferito rivolgere lo sguardo verso un’autrice ancora vivente, che spesso però manca sul nostro comodino.
Sto parlando di Alice Munro. L’ho scelta perché credo che abbiamo sempre più bisogno di immaginare molti mondi possibili e convivere con molte umanità diverse.
Alice Munro riesce a soffiare dentro ai nostri cuori ricordi che non abbiamo mai vissuto. Avete presente i denti di leone, il fiore di tarassaco, che quando ci soffi sopra sparge i suoi semi piumati da tutte e parti? Ecco, così sono i racconti di Alice Munro, ritratti appassionati e curiosi di mondi distantissimi tra loro, ma così affascinanti da trasportarti esattamente lì.
Uno dei libri che raccoglie questi semi è Amica della mia giovinezza, una piccola antologia di racconti ambientati in Canada, come quasi tutti quelli dell’autrice che è, appunto, canadese.
Nata nel 1931, è ancora viva, nonostante qualche anno fa un giornalista italiano dedito alla fake news abbia mandato in panico il mondo che la ama, dichiarandola morta in tweet.
Munro è ancora qui, insieme alle sue protagoniste, perché i personaggi principali dei suoi racconti sono quasi sempre donne. E la certezza è che nessuna di loro è bidimensionale, anche se i racconti che le ritraggono durano poche pagine.
Tutte vengono tratteggiate e mostrate al di fuori dello stereotipo in cui il pensiero (scritto) delle donne viene spesso confinato. Le protagoniste hanno sempre almeno un lato oscuro da nascondere. Sono traditrici, crudeli, facinorose, invidiose, troppo curiose.
Sono complesse, adorabili, romantiche, forti e fragilissime.
Sono donne reali, immaginate e descritte con maestria, in una scrittura che va dritta al punto e ricolloca le donne in un luogo a loro spesso non concesso: quello di una sessualità sentita e vissuta e per questo raccontata liberamente, senza riflettori puntati, ma integrata nella realtà quotidiana.
Sono storie di indipendenza, ma anche di solitudine.
Sono storie che non c’entrano nulla con noi ma che quando le leggiamo diventano quasi ricordi della nostra vita.
Piccolo dettaglio, Alice Munro ha vinto il Nobel per la Letteratura nel 2013.
Non posso però esimermi dal dare un altro suggerimento, forse più pop, ma probabilmente distante dalle consuete letture, anche perché la persona di cui sto parlando non è conosciuta come scrittrice.
Si tratta di Carrie Fisher, la principessa Leia di Star Wars, e lo scrivo consapevole di quanto Fisher fosse esausta di questa specifica.
La propongo per due motivi.
Il primo è personale: sono in qualche insano modo affezionata alla generazione delle tre donne a cui appartiene, lei, tassello centrale. Figlia di Debbie Reynolds (protagonista di Cantando sotto la pioggia che, per la cronaca, è il mio film preferito) e madre di Billie Lourd, giovane promessa della serialità horror (Scream Queens e American Horror Story) che si muove sempre volutamente un passo dietro alle altre.
Bene, la morte improvvisa di Fisher nel 2016 portò via in meno di 24 ore anche Debbie Reynolds che non resse alla tragedia. Per rendere l’idea: io penso a Billie Lourd molto più spesso di quanto non pensi ad altre persone che ho conosciuto nella mia vita.
Fatta questa premessa, il secondo motivo per cui consiglio di leggerla è che nessuno l’ha mai vista come una scrittrice, nonostante da alcuni suoi libri siano nate opere teatrali e film (es. Cartoline per l’inferno). Vi piacerà il suo stile e la sua capacità di raccontare la vita sdrammatizzandola sempre. Vi piacerà la sua onestà.
La stessa che si ritrova ne I Diari della Principessa (2016), dove finalmente Fisher è pronta a prendersi per sempre quel titolo, ma soprattutto a raccontare i retroscena di quegli anni che la videro diventare la leggenda vivente di Star Wars.
Leggendo le pagine dei diari verrete trasportate anche voi nei vostri vent’anni, soprattutto se avevate l’abitudine di sfogarvi come lei sulla carta. Sono confessioni di un pensiero tormentato, di un amore strano e non corrisposto, di un rapporto destinato a finire ma nel quale si infilano speranze e poesie, tante poesie. Si parla in sostanza del rapporto con Harrison Ford, tenuto sempre segreto.
Fischer non ha paura di ammettere la propria difficoltà di invecchiare. Vedersi diverse è una prova alla quale siamo sottoposte tutte ma, se sei stata la principessa Leia, lo sforzo è centuplicato.
L’ironia di Fisher e la sua faticosa risalita dentro se stessa sono evidenti per tutto questo libro, un libro facile, che va giù come un bicchier d’acqua ma che vi farà sentire quasi come se aveste una nuova amica. Non Leia, ma Carrie. Rimpianta Carrie.
Riflessioni a mano libera, senza margini, sull'essere donna, madre, sorella, figlia, compagna, vicina di casa. E sull'avere un corpo e una mente, riuscendo ad utilizzare entrambi con moderata disinvoltura.
Gravidanza, maternità e altri miti - PARTE I
di Lidia Leta
Quando partorisci, sei sola.
Quando tenti di allattare la tua creatura appena nata, sei sola.
Quando scopri che la prima cacca si chiama meconio ed ha un colore semplicemente inconcepibile, sei sola.
Quando guardi la tua creatura dormire e pensi che dovrai proteggerla per tutta la vita, scoprendoti a provare contemporaneamente assoluta tenerezza e assoluto terrore, anche in quel caso sei sola.
Quando quella piccola creatura indifesa piange per ore ed ore durante la notte, in preda – forse – alle famigerate coliche del neonato, in un pianto straziante che ti strappa le viscere e ti bombarda il cervello di pensieri ossessivi, in bilico tra il desiderio di correre al pronto soccorso e quello di rassegnarti e unirti al suo pianto… ecco, anche in quel caso sei sola.
E può esserci un gran numero di persone, vicino a te: tuo marito o il tuo compagno, magari tua madre, forse persino una tua amica. Ma non ha alcuna importanza, perché sei sola, e questa condizione inizia nell’esatto momento in cui il tuo ricovero è effettivo e tu ti ritrovi, abbandonata a te stessa, sola come non mai, in quel microcosmo surreale e totalmente a sé stante ch’è il reparto di ostetricia e ginecologia di un ospedale qualunque, in una regione italiana qualunque, in cui quasi tutti sembrano sapere dove andare e cosa fare, tranne te, che sei una delle tante zombie pancione munite in camicia da notte e vestaglia, vaganti per i corridoi ospedalieri in preda ad una solitudine kafkiana fatta di attesa, angoscia e impotenza.
Dopo una serie di tamponi pronti a scavare ogni orifizio del tuo corpo, resa ancora più ricca dalla contingenza attuale dell’emergenza intermittente causata dal Covid, per cui anche naso e bocca sono esplorati e analizzati al microscopio, alla fine ti ritrovi in una stanza (se sei fortunata doppia, se sei molto fortunata singola, altrimenti sei semplicemente sfortunata) e non sai cosa fare se non sistemare le tue cose, indossare la tua orrenda camicia da notte e metterti a letto. Lì sei obbligata ad aspettare, per un tempo variabile che va dai 15 ai 500 minuti, che qualcuno venga a dirti cosa fare: tracciati, visite, depilazioni sanguinolente praticate con violenza inaudita da un’ostetrica sconvolta – a tratti schifata – dal fatto che tu (con cesareo programmato!) non ti sia depilata molto più a fondo di quello che hai pensato di fare, evidentemente rea di non aver partorito altre volte prima, ma anche clisteri praticati con la medesima violenza dalla medesima ostetrica, forse molto delusa dalla vita o magari proprio da te, partoriente ingenua e pelosa.
Se sei già in travaglio, l’attesa e alcuni di questi passaggi sono conditi dal dolore atroce delle contrazioni; altrimenti, se – come me – devi necessariamente partorire con cesareo, non puoi fare altro che aspettare e aspettare, cercando di parlare con chiunque per ricavare qualche informazione utile, chiedendo feedback su parto e decorso persino alla guardia giurata che sorveglia la porta del reparto, sulla quale – con mia somma sorpresa – nessuno ha mai pensato di scrivere: “Lasciate ogni speranza voi ch’intrate”.
Quasi certamente esiste un patto segreto, tra le mamme del mondo, che riguarda cosa si può dire dopo il parto e cosa invece bisogna tacere con l’omertà inoppugnabile di una cosca mafiosa. Per esempio, si può parlare dei fastidi della gravidanza: caviglie gonfie, emorroidi, vene varicose, difficoltà di digestione, oltre ovviamente a tutta la ricca aneddotica su nausee, rigurgiti e vomitamenti vari. Si può parlare di cosa portare ASSOLUTAMENTE con sé in ospedale: si sprecano i suggerimenti sulle creme migliori per i pargoli in arrivo (l’inci, attenzione all’inci, che i petrolati sono il DEMONIO!), lo shampoo secco per noi che non si sa mai, le camicie da notte coi bottoni (orrende, TUTTE, è una regola), le ciabattine – meglio se utilizzabili anche in doccia (il travaglio, spesso, passa per fasi “acquose”), lo spessore esatto del cotone dei body che andranno nelle bustine del corredo… sì, le bustine del corredo, una per ogni giorno in cui si ipotizza di rimanere in ospedale… 4/5 potrebbe essere un numero plausibile… tutte complete, eh (sia mai che ti dimentichi un paio di calzini)! Qualcuno consiglia di portare anche le muffole, qualcuno le sconsiglia, qualcuno il collant ma dipende dal periodo di nascita… insomma, è complicato, molto complicato. Ma se ne può parlare, e DIFFUSAMENTE.
Su qualcosa, però, bisogna tacere. Ed è tutto quello che accade dal momento in cui si entra in sala parto: da quel fatidico ingresso in poi, mia cara #momtobe, sono stra*a*z*cci tuoi. E non parlo delle chiacchiere superficiali sulla durata del travaglio, sulle gioie e i dolori dell’epidurale, né della gara tra mammine a chi abbia ricevuto più punti per il cosiddetto “taglietto” (episiotomia, per le più scientifiche), neanche del torneo interno tra mamme upper class (parto naturale, allattamento esclusivo) e mamme lower class (parto cesareo, latte artificiale: eccomi). Esiste una forma di riservatezza assoluta che avvolge invece il parto come atto, con tutto l’abnorme carico di dolore che comporta (sì, anche il cesareo), le sue molte difficoltà e gli innumerevoli possibili imprevisti: è una forma di riservatezza che probabilmente nasce da generazioni di racconti a metà, di sospiri carichi di verità non dette, consapevolezze vicinissime, ad un passo di labbra dalla nonna/mamma/zia, ma lontanissime e acquisibili solo con l’esperienza diretta.
Questo misterioso dire e non dire, che abbiamo ereditato da generazioni di donne che hanno partorito e sofferto dandolo semplicemente per scontato, perché è così da sempre quindi “zitta e dimentica”, si è ormai impossessato di noi, diventando una forma pudica di omertà, legata a doppio filo con quella mitologia della gravidanza e della maternità che ci affligge e della quale siamo vittime più o meno consapevoli, in un circolo vizioso dalla ricerca eziologica estremamente complessa, che in tempi recenti ha trovato una fonte inesauribile di nutrimento nei tantissimi (forse troppi?) reel che ci raccontano in pochi secondi la parabola felice e beata mediante la quale dal test di gravidanza positivo si arriva fino ai piedini grinzosi, in un batter di ciglia fatto di pance in crescita progressiva e gender reveal party che sfiorano livelli variabili di trashaggine.
Ed eccoci alla mitologia, perché – che si sappia – di mitologia trattasi.
Tanto per cominciare, tu, mia cara, non sei incinta ma in attesa (come dell’amore vero, della persona giusta, dell’autobus, della metro, dei saldi).
Non sei stanca, insonne, gonfia e piena di ritenzione, irritabile e farcita di ormoni a caso. No, tu sei radiosa.
Pensi di esserti completamente rincoglionita perché la tua amata letteratura, ad un certo punto della gravidanza, è stata soppiantata da articoli, saggi e pamphlet su percentili di crescita, misure fetali, sfarfallii e culle, e tutto il tempo che una volta dedicavi ad informarti adesso è totalmente concentrato sull’acquisto di ogni genere di accessorio imprescindibile, tipo la tutina piumino di una marca di abbigliamento per bambini irragionevolmente costosa. Ma irragionevole è anche l’accessorio in sé, considerato che poi sulla neve, con la creatura di pochi mesi, a meno di non abitare in Trentino-Alto Adige, molto probabilmente non andrai. Insomma, non sei rincoglionita: è lo spirito materno che si impossessa di te.
Ti senti fagocitata dalla gioia, che è volutamente un ossimoro, poi rimasticata e sputata via dall’angoscia. Però tutto insieme, come se provare un solo stato d’animo non fosse più una condizione a te familiare. Ma no, devi stare tranquilla perché è tutto normale.
Hai una paura fottuta del parto perché – pur essendo la prima volta – riesci ad intuire che la fuoriuscita di un essere vivente dalla tua vagina (o l’incisione di un certo numero di strati sottocutanei) non sarà propriamente una passeggiata di salute. Ma non devi avere paura (non devo? davvero?) perché tutto quel dolore (quanto dolore? possiamo quantificare?) sarà rigettato dalla tua mente appena prenderai il tuo bambino tra le braccia. Dimenticherai tutto.
E INVECE NO.
(continua nella prossima newsletter!)
LORENZA MAZZETTI
Dovevamo alzare le mani in alto per sostenere il cielo. Lea intonò un canto, noi stavamo con le braccia in alto e i volti accesi per lo sforzo di sostenere il cielo. Il cielo sta per cadere, il cielo cade; noi stiamo con le braccia in alto a sostenere il cielo. Satana sta per precipitare giù all'inferno e poi si chiamerà Lucifero. Ecco noi stiamo con le braccia in alto e il cielo sta per crollare. Siamo rossi per lo sforzo. Chi ci aiuterà.
Il cielo cade (1963)
Nel 1953 una ragazza italiana di 26 anni da poco sbarcata a Londra, emigrata senza un soldo in tasca e piena di traumi collezionati per via del fato e della guerra, decide di girare un film clandestinamente. Un’inquietudine la spinge a creare, è dedita al disegno e alla pittura, ha svolto i più disparati lavori per sopravvivere in una terra straniera dove è un Undesirable alien, una profuga, è scappata da una realtà troppo carica di infelicità e, conoscendo poco o niente la lingua, grazie a una serie di casualità fortuite e al suo talento innegabile diventerà la fondatrice del Free Cinema britannico, la prima donna regista a girare un film sovvenzionato da fondi pubblici in Inghilterra, la creatrice di un teatro di marionette per raccontare i sogni dei bambini e una scrittrice.
Il 26 luglio 1927 nasce a Roma la regista, scrittrice e pittrice Lorenza Mazzetti. Scomparsa il 4 gennaio 2020 a 92 anni ha vissuto tante vite ed è riuscita lungo tutto l’arco della sua esistenza a incanalare e trasformare nel linguaggio artistico e letterario i traumi della sua infanzia. Il peggiore, il più forte e doloroso che influenza tutta la sua produzione artistica, cinematografica e letteraria è sicuramente il trauma di aver assistito e di essere sopravvissuta all’assassinio della sua famiglia adottiva perpetrato dalle SS nel 1944.
Lorenza e la sorella gemella Paola restano orfane molto presto: la madre Olga Liberati muore poco dopo il parto e il padre, incapace di occuparsi da solo di due neonate le affida prima a varie balie negligenti e poi accetta la proposta della sorella, Cesarina, che esprime il desiderio di adottare le due bambine. Cesarina Mazzetti è sposata con il cugino del fisico premio Nobel Albert Einstein, Robert e la coppia cresce le due gemelle come delle figlie assieme alle cugine Luce e Annamaria. La famiglia vive a Rignano sull’Arno, nei pressi di Firenze, dove le bambine trascorrono un’infanzia idilliaca e felice, fino ai tragici eventi del 3 agosto 1944. Un soldato delle SS si presenta nella casa di Rignano in cerca dello zio Robert che, essendo ebreo e parente di Einstein, si era nascosto nei boschi temendo di essere ricercato. Non trovandolo, la moglie Nina e le figlie vengono uccise: Lorenza e Paola scamperanno alla tragedia, non portando il cognome dello zio, restando impotenti e terrorizzate a guardare il cielo cadere, la loro famiglia mentre viene trucidata, la loro casa data alle fiamme. Lo zio Robert, sconvolto dall’orrore e dai sensi di colpa, dopo un anno si toglie la vita.
La strage segna duramente la vita di Mazzetti e diventa la molla che le permette di utilizzare l’arte, la creatività e la scrittura per elaborare un dolore e un lutto - in parte forzatamente rimossi - dei quali a voce non riuscirà mai a parlare.
Sto cercando di sgarbugliare il nodo di tragedia, morte e vitalità, anche attraverso la scrittura. “Il cielo cade” è stato scritto dopo che sono stata in analisi da uno psichiatra che aveva capito perché stavo tanto male, e ha fatto in modo che si rompessero le difese che avevo alzato senza saperlo, per difendermi dal ricordo di quella scena traumatica. C’era tutta un’apparecchiatura, un filo spinato, una specie di nebbia densa, apposta perché io non potessi entrare a vedere. Però io non ero normale e, quando sono andata a Londra, questo bisogno di esprimermi, di dire qualcosa, mi ha fatto fare cose strane, tra cui un film, a vent’anni, su “La metamorfosi” di Franz Kafka. [...] Se c’era stata in me una rimozione così forte voleva dire che la mia vita era in pericolo, quel ricordo mi paralizzava il cervello e il corpo e arrivava fino al cuore.
Nel dopoguerra scappa dal dolore e si trasferisce in Inghilterra, dove per guadagnarsi da vivere va in campagna a raccogliere patate in una farm. Dopo poco, deluse le sue aspettative di vita idilliaca nei campi britannici, tenta la strada della città. Si trasferisce a Londra e, senza un soldo, stanca di continuare a fuggire con la sua valigia in cerca di un po’ di infelicità tra un lavoro da lavapiatti e l’altro decide di dare una forma al suo talento per il disegno e la pittura frequentando la Slade School of Fine Art. Si presenta un giorno prima dell’inizio delle lezioni in segreteria e dichiara al direttore di volersi iscrivere perché “io sono un genio!” e perché l’alternativa era impensabile. Le viene riconosciuto del talento e il direttore eccezionalmente accetta di iscriverla.
Girando tra i corridoi dell’università, Lorenza un giorno per puro caso scopre la macchina da presa: è un colpo di fulmine, è un punto di svolta nella sua vita artistica, professionale e personale. Decide di cimentarsi con il cinema, con la pellicola, con la trasposizione delle emozioni in immagini in movimento in bianco e nero. Si mette subito al lavoro, prende in prestito senza permesso il materiale della scuola e clandestinamente gira in estrema economia di mezzi il suo primo film K, tratto dalle Metamorfosi di Franz Kafka. Nel libro Diario londinese del 2014 si narra anche della genesi del progetto e del perché Kafka e quel libro significano tanto per Lorenza.
“Le metamorfosi” sembra quasi un grande atto di accusa contro il tran tran di una vita quotidiana indifferente alle ingiustizie passate presenti e future. Kafka, spesso, mi pare che voglia dire esattamente il contrario di ciò che dice. Anche io, come lui, non posso accettare di essere calma, serena, mangiare, bere e dormire, perché qualcosa mi dice che questa serenità non mi è permessa. Devo fare qualche cosa, ma non so cosa, ma devo, devo, devo. Non so cosa. Impugnare una pistola?
[...] Sono agitatissima, Franz Kafka mi guarda, sì lui ha un viso terrorizzato e io lo capisco. Io e lui abbiamo un punto in comune. Il terrore. Abbiamo tutti e due l’orrore negli occhi. Lui lo ha visto con gli occhi del Profeta e io dal vero. Siamo uguali.”
Diario Londinese (2014)
Scoperta dal direttore della scuola, Sir William Coldstream la sfida: proietteranno il risultato del suo lavoro clandestino agli studenti della scuola e se il film sarà accolto con favore dai colleghi non la denuncerà per furto di proprietà della scuola. Il film è un successo, anticipa quello che sarà il Free Cinema inglese: alla proiezione è presente anche Denis Forman, l’allora direttore del British Film Institute che decide di produrre il suo film successivo, Together.
Io a quell’epoca stavo piuttosto male psicologicamente, ma nessuno sapeva dei traumi del mio passato. Avevo bisogno di esprimere in qualche modo la mia angoscia, anche se poi il mio inconscio mi impediva di parlare in modo diretto di ciò che mi era successo. L’idea del film riguardava due sordomuti che vivevano nell’East End di Londra, quindi tagliati fuori dal mondo in quanto “diversi”. Era esattamente anche la mia sensazione di essere “diversa”, e la proiettavo in questi due personaggi tagliati fuori dal sonoro e inseguiti dai bambini che li prendevano in giro e umiliavano. Questo gioco diventava sempre più violento, finché uno dei due, il più grosso, si rivoltava e rincorreva i bambini.
Diario Londinese (2014)
Lorenza Mazzetti avvia così la sua carriera di regista. Nel 1956 in un café londinese insieme a Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson scrive il manifesto del Free Cinema, un movimento artistico d’avanguardia che crede nell’importanza delle persone e nel significato della vita quotidiana. Tra i punti del manifesto figurano:
As film-makers we believe that:
No film can be too personal.
The images speak.
Sound amplifies and comments.
Size is irrelevant. Perfection is not an aim.
An attitude means a style.
A style means an attitude.
Lorenza Mazzetti e i suoi colleghi cercano di raffigurare la genuinità di un giorno qualunque, le giornate delle persone comuni, dei proletari, dei lavoratori. Con questi presupposti artistici Mazzetti inizia a lavorare a Together: ambientato nell’East End bombardato di Londra, il film segue le vicende di due amici sordomuti e nel 1956 vince il Prix de Recherche al festival di Cannes.
«Non capivo veramente che cosa volessi dire con questa storia – scrive parlando di Together – solo che mi emozionava la situazione di due persone immerse in un mondo che loro ignoravano e dal quale erano ignorate. Dopotutto io mi sentivo proprio una outsider»
Diario londinese (2014)
I film non sono l’unico strumento creativo che utilizza per esprimere le sue emozioni: Lorenza Mazzetti si è sempre espressa attraverso l’arte e il disegno e, se gli anni ‘50 sono quelli dell’espressione artistica cinematografica, gli anni ‘60 sono quelli del ricordo che si fa parola e, quindi, letteratura.
Dopo il successo di Cannes, Lorenza torna in Italia per una visita alla sorella Paola. Sarebbe dovuto essere un ritorno temporaneo, ma colpita dalla depressione e dal peso dei ricordi rimossi negli anni londinesi resta a Roma. Per provare a gestire il carico del passato, oltre alla terapia, Lorenza inizia a scrivere. La scrittura è terapeutica, è uno strumento per mettere ordine nei pensieri turbinanti nella mente, per cercare un senso, forse inesistente, del dolore.
In un baretto di fronte al mare di Sperlonga, come racconta in Diario londinese, Lorenza trova la voce della sua protagonista, una bambina, Penny, il suo alter ego letterario e, come se stesse svolgendo un compitino scolastico, inizia a raccontare l’orrore della guerra, l’orrore che i suoi occhi hanno visto. In 20 giorni il suo primo libro è scritto, seduta al Bar Corallo guardando il mare.
Nel suo primo romanzo Il cielo cade (1961, vincitore del Premio Viareggio Opera Prima) - che nel 2000 è diventato un film con Isabella Rossellini diretto dai fratelli Frazzi e sceneggiato da Suso Cecchi D’Amico - seguito da Con rabbia (1963), Uccidi il padre e la madre (1969), Diario Londinese (2014) e Album di famiglia (2021) affronta ricordi e fantasmi, mette in fila la storia della sua famiglia e della sua vita, cercando di affrontare con un atto di creazione artistica ciò che dilania e non potrà mai essere sanato.
Con gli occhi di una bambina, Mazzetti ripercorre il suo personale rimosso, rimette a fuoco immagini che pensava di aver dimenticato, eventi che il tempo aveva sbiadito, offuscandone i contorni. La scrittura è terapeutica, forse quanto e più della psicanalisi, perché l’atto creativo permette all’autrice di estraniarsi da sé e di osservare con un certo distacco i fatti, mettendoli in scena con dei personaggi che apparentemente sono altro dalla realtà, creando un transfer che mette distanza. Una distanza necessaria per guardarsi indietro e trovare una cura che provenga da tutto quel dolore. Spesso alla sua scrittura si muove la critica di essere troppo semplice, ingenua, infantile: a ben vedere è anche questo un messaggio dell’autrice. La storia che ha vissuto ha cristallizzato la realtà attorno a un momento ben preciso, che per quanto abbia cercato di rimuovere, è sempre stato presente. Lorenza è rimasta per sempre un po’ una ragazzina, bloccata dal trauma nel ricordo di un’infanzia felice trascorsa nella campagna toscana.
La creatività è stata per lei lo sbocco per ragionare su questa cristallizzazione, per elaborare un linguaggio artistico che esplorasse la dimensione dell’infanzia, dei bambini e del loro stare nel mondo perché “La vita è tutta un lavoro retroattivo, di recupero dell’infanzia”.
Non a caso quindi, negli anni ‘70, abbandonato il mezzo cinematografico perché non si riconosce nello spirito che anima il cinema italiano dell’epoca, cambia ancora una volta mezzo espressivo: fonda il Teatro delle Marionette a Campo de’ Fiori a Roma e mette in scena spettacoli che raccontano fiabe, magie e sogni. Ogni storia un viaggio, un viaggio dell’eroe che anche dopo aver affrontato peripezie incredibili e terribili, riesce a sconfiggere mostri e paure per continuare a vivere.
Mi dispiace tanto di non aver parlato a nessuno della mia infanzia. Questo è il mistero dei sopravvissuti, cioé prima il bisogno di dimenticare per sopravvivere, poi col tempo il senso di colpa per aver dimenticato e quindi non aver testimoniato l’orrore. Questo ho voluto raccontare nel mio “Diario londinese”
Diario londinese (2014)
Alcuni link consigliati per approfondire:
Una lunga intervista in cui Lorenza Mazzetti si racconta
Un articolo di approfondimento sulla sua attività di regista pubblicato su Another Gaze e firmato da Francesca Massarenti di Ghinea Newsletter
DA LEGGERE
La scrittrice polacca, premio Nobel per la letteratura, Olga Tokarczuk conia un nuovo termine letterario, filosofico, sociale, psicologico, per raccontare la molteplicità del mondo e la necessità di avere un approccio altrettanto complesso e stratificato per cercare di comprenderlo: Ognosia. Il saggio-riflessione parte da un’immagine, quella di un viandante esploratore del XIX secolo che scopre l’universo oltre il globo e del quale “non possiamo scorgere il volto, ma possiamo indovinarne l’espressione: un misto di piacere, meraviglia, sconcerto al cospetto dell’armonia e della magnificenza del mondo che va al di là di ciò che possiamo vedere. Da dove siamo, noi possiamo vederne solo una frazione mentre il viandante riesce a vedere molto di più. Ci sono sfere chiaramente delineate, corpi celesti, orbite, nuvole e raggi: le dimensioni quasi inesprimibili dell’universo che senza dubbio diventa sempre più complesso, che tende all’infinito”.
Un po’ ciò che abbiamo provato osservando le straordinarie immagini di Giove riprese dalla Nasa grazie al telescopio James Webb.Archives des luttes des femmes en Algérie - Archivio delle lotte delle donne in Algeria è un progetto indipendente nato nel 2019 con l’obiettivo di costruire un archivio digitale aperto che conservi tutti i documenti (scritti, fotografie, libri, volantini, video ecc) relativi ai collettivi femministi algerini, soprattutto a partire dal 1962 - anno dell’indipendenza dell’Algeria - per ricostruire una cronologia e, di conseguenza, una storia dei movimenti e delle donne che ne hanno fatto parte. [scoperto attraverso la newsletter Afilorefe!]
Nessuno è incolpevole: più ci reimpossesseremo di un concetto di cittadinanza come pratica anche culturale, oltre che politica, più toglieremo autorevolezza a chi offende la storia e i diritti delle moltitudini, dunque la nostra storia. Daniela Brogi su doppiozero.
L’opera letteraria di Mariella Mehr (1947-2022) esiste perché molti volevano che lei non esistesse. Invero, esiste un mondo in cui la poesia e la prosa di Mariella Mehr non sarebbero dovuti esistere: il mondo delle leggi razziali, dei programmi eugenetici, della perseveranza nell’eliminazione di chi non è conforme a una rappresentazione. Non è così arbitrario legare l’opera di Mehr alla sua vita, perché la sua scrittura è stata indissolubilmente attaccata al suo desidero di rinascita, di esistere, di essere attraverso la parola. Anna Toscano racconta Mariella Mehr su doppiozero.
Un articolo sull’ingiustamente dimenticato romanzo Il cielo cade di Lorenza Mazzetti sulla Paris Review.
DA ASCOLTARE
Dragon Lady l’ultima testimone, la serie sequel di Soli, il podcast di Roberta Lippi. Lei si chiama Deeksha, è stata una delle donne di potere dell’entourage di Osho, il famoso guru indiano.
Io ero il milanese: la vita prima, dopo e durante il carcere.
The Thing about Pam, una serie podcast di cronaca nera di Keith Morrison per Dateline che ha dell’incredibile e da cui è stata tratta una serie con Renée Zellweger.
DA VEDERE
Un po’ di Franca Valeri, che non guasta mai.
Together (1956) di Lorenza Mazzetti
[ROMA] Il 23 settembre alle 17:30 parte a Roma il ciclo di 10 incontri monografici promosso dall’associazione Le parole delle scrittrici per proporre la conoscenza e l’approfondimento di figure femminili protagoniste in ambito letterario, filosofico, storico, artistico e scientifico. Ogni incontro si concentra sulla figura di una scrittrice a cui segue la proiezione di un film in tema. Le autrici protagoniste di questo anno sono Hannah Arendt, Anna Maria Ortese, Mary Shelley, Elena Ferrante, Jane Austen, Anna Politkovskaya, Biancamaria Frabotta, Kikì Dimulà, Lesja Ukrajinka. Gli incontri si tengono una volta al mese a Spazio Scena a Trastevere e sono a numero chiuso. Per iscriversi ed avere informazioni scrivere a: flavia.caporuscio@gmail.com.
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