Mis(S)conosciute - La newsletter #31: 8 settembre, montagne, partigiane e Angela Carter
Scrittrici (e altre cose) tra parentesi
Rizzios, minuscola frazione di Calalzo di Cadore, in provincia di Belluno, è
“un grumo arcaico di scure case di sasso e di legno, soprattutto legno, fienili, contrade strette, voltoni e baracche, tutto attaccato, sovrapposto, color grigio come i tronchi dei faggi, roggio legno come le foglie che cominciano a indorare”.
A Rizzios siamo state una manciata di giorni - “e tuttavia mi pare di esserci da anni, tra gente mia, nota e amica” - in cui si prevedevano fulmini e saette, ma il dio del meteo ci ha graziato: sole, e caldo, oltre ogni ragionevole aspettativa. Nel tentativo di risalire le pendici del Re delle Dolomiti, il monte Antelao, abbiamo incontrato solo il fondo un po’ umidiccio, in certi tratti più fangosi, complice anche la scelta oculata di abbandonare la strada carrozzabile - ancorché panoramica - e percorrere un sentiero più scomodo nelle viscere dei boschi, tutto all’ombra (il che ci ha salvato la vita, data la partenza a ora tarda). Noi siamo donne di campagna, al massimo di mare; qualche timido approccio con la montagna l’avevamo avuto, ma quasi tutto per noi è stato nuovo. Soprattutto, è stata nuova la sensazione di difficoltà, di sfida con noi stesse.
In montagna tutto è sfida, d’altra parte; la montagna, nella fattispecie l’Antelao, serve anche a vincere “oscuri complessi”: così diceva Giovanna Zangrandi, le cui orme abbiamo seguito verso il rifugio che ha costruito e fondato nel 1946, a guerra finita, quando il peggio era (sembrava?) passato.
La visualizziamo, dai racconti dei paesani: piccola di statura, quando si nascondeva in quel “grumo arcaico di scure case di sasso e di legno” che era il borgo di Rizzios portava sulla schiena la gerla; per mimetizzarsi, ci ha detto quello che all’epoca era il suo vicino. Possiamo immaginare che in realtà la gerla pesasse più di lei, carica di munizioni, di provviste (quando c’erano), e con quella stessa gerla si arrampicasse - estate e inverno - su nelle faggete, per raggiungere “la banda”, cioè i compagni partigiani che non volevano che le donne rimanessero con loro.
“Bella non era di sicuro, intelligente sì, tantissimo” ci ha detto un’altra persona che l’ha conosciuta; con una tempra senza eguali, aggiungiamo, visto che negli ultimi anni - con diagnosi di Parkinson o qualcosa del genere e il fisico minato, che beffa - non smise mai di scrivere. Ma come poteva essere diversamente, per una che aveva passato gli ultimi mesi della guerra, da novembre ad aprile, sotto la roccia della Memora, all’addiaccio, a combattere per la Resistenza.
Abbiamo chiesto se alla Memora ci si poteva arrivare: “voi, no”, è stata la risposta. “Non c’è un sentiero e bisogna arrampicare e comunque vi ci deve portare qualcuno che conosce, o non la troverete mai” - d’altra parte, era quello il senso di tutto il nascondiglio. Da lì si vedeva la strada per Rizzios, si sapeva in anticipo chi arrivava e c’era il tempo di scappare. Il pensiero che Giovanna Zangrandi abbia battuto questi pendii di giorno, di notte, con la nebbia, con la neve, ci mette ancora i brividi.
È l’8 settembre, oggi. Nel frattempo, noi siamo tornate da Rizzios con i polpacci doloranti e tutto per una misera discesa, 800 metri scarsi di dislivello, una cosa da nulla.
Ci sembrava giusto raccontarvi almeno un pochino di quest’esperienza cadorina (altro vi racconteremo più in là), anche per ringraziare le donne che l’hanno resa possibile: Giulia Mirandola che ha organizzato Montagna Disegnata, Letizia Lonzi che ci ha ospitate nel suo BnB “Come le api al miele” e ci ha fatto da guida, Roberta Fornasier che ci ha aperto le porte di casa sua e dell’archivio Zangrandi. Anche a noi a un certo punto ci è sembrato di essere “tra gente nostra”.
Ma è l’8 settembre, dicevamo. L’8 settembre di ottant’anni fa fu la fine, l’inizio e chissà. E a tal proposito è bello leggere, ancora, Giovanna Zangrandi:
C.*, 8 settembre 1943
Al pianterreno della mia casa, c'è la famiglia di un giornalista, lui lavora a Salò, ha lasciato al sicuro la moglie e due bimbe bellissime, una anzi è nata qui. Naturalmente anche tra noi casigliane i rapporti sono corretti, gentili, ma freddi, da estranei più che da amici.
Oggi la signora vien su a chiamarmi, eccitata, sconvolta, ritrasmetteranno a minuti il "comunicato dell'armistizio".
Scendo, ascolto, ascoltiamo. Gli occhi della signora, nel viso bello e fine, mi guardano spaventati, sperduti, poi il suo pianto è parole concitate, disordinate: "patria, resistere, disonore, infamia, tradimento, popolo tedesco, alleanze e lealtà". Non ho tempo di considerare che questa donna, che pure finì un liceo classico ed ebbe e ha letture raffinate, è più spersa di me nei suoi giudizi penosamente infantili, deamicisiani e senza realtà.
Lo sento come in un lampo che acceca di sgomento me pure: la gioia della fine è annientata da questo armistizio oscuro, tortuoso; anche nella confusione delle parole di lei, intuisci impreparazione, approssimazione, compromessi, incapacità che tramuteranno forse in tragedia questa fine tanto attesa.
La signora ora singhiozza penosamente, parla di deportazioni, di persecuzione agli italiani, confonde italiani, fascisti, lacrime.
Corro in ferrovia per tentare di parlare con qualcuno di noi immigrati; tra l'altro, in stazione da giorni è accantonata una compagnia di alpini, armati nientepocodimeno che di un fucile mitragliatore, con l'ordine di "difendere i valichi".
Fra traversine e rotaie, dietro i capannoni si parla; questi operai e tecnici della ferrovia sono i pochi di cui mi fido, parole di attesa e di sgomento. Ci sentiamo enormemente soli rispetto al resto del nostro paese, ma con un senso di rinata solidarietà tra noi pochi. E ci sentiamo stranamente italiani, come fatti nuovi e soldati, adesso. Bisognerà fare qualcosa, ognuno il suo poco, così concludiamo.
Sono andata su con loro alla mensa ferrovieri, dove mangia anche altra gente, professori, impiegati scarsi di paga: casino di parole, un ex ufficiale che strilla non so che fede e giuramenti e declama "le eroiche cariche della cavalleria italiana in Russia al grido di Savoia", un altro che deplora tradimenti e esalta Hitler e le V2, un ferroviere che grida del disonore dell’iprite buttata dall'Italia imperiale sull'Amba Aradam, fin che un macchinista fracassa mezzo tavolo di pugni e fa tacer tutti, ingoia, ruggisce ansando le parole: "Non c'è tempo di ciarle. Siamo come con un locomotore deragliato e in bilico, bisogna tirarlo in rotaia senza fare altri morti; c'è da lavorare giorno per giorno, in silenzio e senza storie e chiacchiere da giornali".
Lo ritrovo sotto la pensilina mentre prendo la bicicletta, fa: "Ehi, Anna, su con le orecchie: diceva mio nonno ‘perdere la roba è un guaio, perdere l'onore è peggio, si sa; ma perdere il coraggio, ragazzi, quello è peggio che morire’. È così".
È così: domani, 9 settembre ci sarà da vivere e bisognerà avere i riflessi pronti, credo.
Ho caricata la sveglia per l'alba.
(I giorni veri, Ponte alle Grazie, 2023)
BOOK TOUR
“L’esile penna. Fabrizia Ramondino. Itinerari di vita tra realtà e immaginazione”
11 settembre [DAL VIVO] - 19:30 ROMA – Lungotevere Tor di Nona – Castel Sant’Angelo
Presentazione del saggio nell’ambito della rassegna culturale curata da Chiara Mazza de Il talento di Roma
14 settembre [DAL VIVO] - 19:00 Rocca dei Rettori - BENEVENTO
Nell’ambito della rassegna culturale Metti una sera… Autori alla Rocca dei Rettori promossa da Culture e Letture aps in collaborazione con la Libreria Barbarossa e con il patrocinio morale della Provincia di Benevento, presentiamo il libro in compagnia di Elide Apice e Maria Laura Simeone. Letture di Alda Parrella.
15 settembre [DAL VIVO] - Libreria SPINE Bookstore - BARI
Presentazione del libro con la nostra editrice Giorgia Antonelli, a Bari.
16 settembre [DAL VIVO] - Festival Libri nei Vicoli del Borgo di LOCOROTONDO
17 settembre [DAL VIVO] - ORE 10:30 ATELIER 27 - BARI
Il salone letterario patrocinato dal comune di Bari, con la nostra editrice Giorgia Antonelli, LiberAria Editore.
"A free woman in an unfree society will be a monster."
Questo mese dedichiamo la rubrica “Bio(S)conosciute” a una scrittrice di cui abbiamo parlato spesso nei nostri canali virtuali, eppure ci siamo accorte di non averle mai dedicato questo spazio. Quindi, corriamo ai ripari!
La scrittrice e giornalista inglese Angela Carter è stata un’intellettuale fuori dagli schemi, ha viaggiato con la sua scrittura in generi poco convenzionali, diversi e spesso considerati di serie b come l'horror in stile gotico, la fantascienza e le favole. Famosa per la sua riscrittura in chiave moderna delle fiabe della tradizione di Perrault e dei fratelli Grimm, è stata una delle più brillanti e interessanti scrittrici del '900.
La sua stessa vita è stata una continua serie di ribellioni all'ordine imposto da società, famiglia e convenzioni, di scelte prese in totale e coraggiosa libertà che ne hanno segnato non solo l'esistenza, ma anche la scrittura, il pensiero e i suoi ideali.
Angela Olive Stalker nasce il 7 maggio 1940 nel sud dell'Inghilterra in una famiglia della middle class. Il padre è un giornalista, la madre lavora come cassiera in uno dei grandi magazzini Selfridge.
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