Mis(S)conosciute - La newsletter #34: Donne che mollano il lavoro, Laura Silvia Battaglia, Jokha Alharthi, Liana Badr e Anna Kavan
Scrittrici (e altre cose) tra parentesi
«Per “lavorare” s’intendeva tutto ciò che non riguardava l’interno della casa: il bucato, le pulizie, i pasti. Queste erano occupazioni normali per le donne, “lavorare” era il resto: pascolare la mucca, barellare il letame dalla concimaia al campo, rastrellare il fieno, zappare, vendemmiare e pestare con i piedi nudi l’uva nei tini»
Tina Merlin, La casa sulla Marteniga
Il 25 novembre scorso è stata una giornata straordinaria dal punto di vista della partecipazione, certamente sull’onda della commozione per la scomparsa di Giulia Cecchettin, per le parole della sorella Elena e del padre Gino, per il terrificante universo dei commenti che questa vicenda si è trascinata dietro. Noi in piazza a Roma c’eravamo e abbiamo visto tante facce, tante rivendicazioni, tante rabbie diverse: speriamo con tutte le nostre forze che prima o poi portino a dei cambiamenti sistemici, che però purtroppo non vediamo ancora all’orizzonte.
Nella nostra marcia abbiamo idealmente costruito un ponte con il Centro antiviolenza di Arzano (NA) gestito dall’associazione “Donne Insieme”, con cui ormai da un paio di mesi stiamo facendo un percorso di avvicinamento alla scrittura del quale speriamo presto di presentarvi i frutti. Intanto i frutti su di noi si vedono tutti. Le storie di queste donne ci spezzano e ci annichiliscono ogni volta, e siamo onorate che ce le vogliano raccontare. Sono storie molto diverse eppure così uguali a quella di Giulia Cecchettin, storie di paura e prevaricazione, ma anche - nel loro caso - di rinascita.
Per l’introduzione di oggi però abbiamo scelto un tema “tangente” e apparentemente più leggero, che prende le mosse da tre diverse cose che in questi giorni ci è capitato di leggere:
questo rapporto di MARLA, il magazine della noprofit info.nodes, significativamente intitolato “Sesso è potere”;
i dati sulle dimissioni convalidate nel 2022 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro;
questo post della medica/podcaster Sasha di mammeanudo (consideratelo un consiglio di ascolto, la seconda stagione è in corso e la trovate qui) che racconta di essersi licenziata da un ospedale pubblico per continuare a fare il suo lavoro ma da libera professionista, con orari più flessibili e ritmi più umani (dato rilevante su cui torneremo: ammette che poterlo fare sia stato un privilegio).
Il discorso che stiamo per fare usa il post di Sasha solo come spunto - siamo molto contente per lei, che ne ha guadagnato in serenità! - e non entra minimamente nelle dinamiche lavorative degli ospedali né nelle sue dinamiche familiari e personali, che non sono di certo affar nostro. Peraltro nessuna di noi ha figli e attualmente ci barcameniamo lo stesso tra lavoro pagante, lavoro per Mis(S)conosciute e responsabilità familiari molto ridotte rispetto a quelle di un* genitore, ciononostante ci troviamo tutti i giorni a chiederci quanto questa vita che facciamo sia sostenibile sul lungo periodo.
L’arrivo di un figlio, poi, rompe certamente gli equilibri. Ma gli equilibri di chi?
I dati sulle dimissioni dell’INL fotografano abbastanza chiaramente la situazione. Tra chi si licenzia nei primi tre anni di vita del figlio, le donne sono oltre il 70%. Il 63% di loro lo fa perché non riesce a tenere insieme l’impiego e la cura della prole. E quel quasi 30% di uomini? Nel 78% dei casi la motivazione del licenziamento è stata il passaggio ad altra azienda, immaginiamo per usufruire di condizioni lavorative migliori.
E che altro vorranno mai dirci questi dati, se non che il carico del lavoro domestico e di cura è ancora, rovinosamente, sulle spalle delle donne?
Non sorprende quindi il contenuto del rapporto di MARLA: e cioè la conclusione che nelle posizioni di potere in Italia ci sia ancora una grande disparità tra uomini e donne. Le donne ministre/senatrici/onorevoli sono molte meno della metà. Diplomatiche, 15%. Sindache, 15%. Sindache di comuni sopra i 100mila abitanti, solo 3. Consigliere comunali, 34%. Un’unica presidente di regione. 29% di assessore regionali, 24% di consigliere. Solo 2 sono le direttrici tra le 20 maggiori testate giornalistiche nazionali, nessuna a capo di un telegiornale. 11 rettrici su 84, 2 presidenti di enti di ricerca su 12. Tutto ciò ovviamente a fronte di un numero maggiore di diplomate e laureate.
Le donne non fanno carriera perché sono meno ambiziose? O semplicemente non possono permettersi di essere ambiziose?
Le tanto decantate misure di sostegno alla natalità non sono pervenute. L’unico contentino elaborato dal governo in carica è qualche centinaia di euro all’arrivo del secondo figlio, per il resto: no aumento della paternità, no nuovi nidi, in compenso è arrivata in parlamento la legge che obbliga le donne a sentire il battito del feto prima di abortire ma soprattutto sono state istituite le famigerate quote blu.
In tutto questo, il privilegio.
Eh già, perché non abbiamo ancora affrontato l’elefante nella stanza. Non abbiamo ancora detto cioè che anche potersi dimettere è un privilegio. Significa avere “un mestiere” o un know-how che lo consentano, le risorse economiche per farlo, una famiglia di supporto. Tuttavia è curioso che di questo privilegio usufruiscano in gran parte le madri. Perché i padri non hanno il problema di dover gestire la genitorialità e il lavoro full time?
Probabilmente, è un cane che si morde la coda.
Perché magari spesso lo stipendio più alto è quello del padre e quindi la scelta è “naturale”. Ma se è così, è anche per via delle ragioni che abbiamo elencato (LE - DONNE - NON - FANNO - CARRIERA, spesso sepolte dal lavoro di cura).
Come se ne esce?
Boh. Se avessimo la soluzione ci saremmo candidate a presidenti del Consiglio. Vorremmo solo timidamente suggerire di smettere di considerare la genitorialità una questione esclusivamente femminile. Per fare ciò, un buon punto di partenza è smettere di mitizzare la maternità (mammeanudo lo fa molto bene), smettere di ammantarla di una qualche aura mistica, a partire dalla sala parto.
Soprattutto, magari, smetterla di fare le vittime.
Le vittime del femminismo, intendiamo, e ci rivolgiamo ai padri. La verità è che i figli sono quello che sono, di certo non possono aiutare le madri a sostenere il peso della cura. I padri sì, però. Dietro a una madre che resta a casa dal lavoro, spesso c’è un compagno poco collaborativo. Le donne ormai con “conciliazione” non intendono più solo tempo per occuparsi della casa e della famiglia: pretendono tempo per loro stesse. E i compagni farebbero bene a prenderne atto.
Patriarcato è anche questo, amici cari. Le vessazioni sono anche queste.
Su queste note gioiose ne approfittiamo per augurarvi di sopravvivere alle feste. Abbiamo un incentivo: nel 2024 arriverà una novità sensazionale targata Mis(S)conosciute. Stay tuned, come dicono quell* brav*.
15 dicembre - Bologna [DAL VIVO]
Venerdì 15 dicembre alle ore 17 (se il dio degli scioperi ci fa la grazia) presso la sede regionale di Cittadinanzattiva in via Castiglione 24 a Bologna parliamo di Fabrizia Ramondino nell’ambito di Sommerse. Narratrici italiane del Novecento, un progetto a cura di Camilla Marchisotti, Beatrice Basile, Carolina Rossi, Elisa D’Andrea e Federica Condipodero, in collaborazione con lo Spazio Letterario, Cittadinanzattiva Young E-R, il Patto per la lettura di Bologna, il Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna e la ricercatrice Elisa Attanasio.
Uno spazio in cui una scrittrice ospite consiglia ai lettori di #missconosciute un’autrice da leggere: la sua autrice preferita, una scrittrice troppo poco nota, poco pubblicata, un libro poco conosciuto di un’autrice famosa o la scrittrice che secondo lei tutti dovrebbero leggere.
LAURA SILVIA BATTAGLIA LEGGE JOKHA ALHARTHI
Laura Silvia Battaglia è una reporter italiana, specializzata in aree di crisi e conflitti dal 2007. Con un particolare focus su Yemen e Iraq, si è occupata negli anni di minoranze etniche, religiose e di genere, migrazione, terrorismo e traffico di esseri umani e di armi. E' autrice e conduttrice per Radio3 (Radio3Mondo) e documentarista. Collabora con molti media italiani e stranieri tra cui il quotidiano americano "The Washington Post". Ha pubblicato la graphic novel "La sposa yemenita" con Paola Cannatella (Beccogiallo 2018) e il libro-inchiesta "Lettere da Guantanamo" (Castelvecchi editore 2021). L'ultimo suo documentario, "Yemen nonostante la guerra" (2019-2020), è stato prodotto e distribuito da RaiDoc, ZDF, Al Jazeera Documentary, e ha vinto l'Europe Film Festival UK 2021. Ha vinto, tra gli altri, i premi giornalistici Siani, Maria Grazia Cutuli, Lucchetta, Colomba per la Pace, Giornalista del Mediterraneo.
"Verdi, marroni, color panna, a righe, ricamati, lisci, nuovi e vecchi, alcuni con le frange, altri con i bordi cuciti frettolosamente; si sono sollevati tutti, si sono dispiegati uno accanto all’altro, si sono appesi alle mani delle donne per formare una sorta di baldacchino quadrato che correva tutt’intorno alla salma, lavata e profumata dalle donne. È stato così che mia nonna è entrata nel tempo in cui non c’è aria, in cui non c’è luce e non c’è fine, il tempo davanti al quale ogni vita sembra brevissima, persino la sua"
Jokha Alharthi, "L'albero delle arance amare"
Jokha Alharthi è nata nel 1978 e ha studiato nell’Oman e a Edimburgo. Autrice di romanzi, storie per ragazzi e saggi, insegna letteratura araba alla Sultan Qaboos University, non lontano dalla capitale omanita, Mascate. Nel 2019 Corpi celesti ha vinto il Man Booker International Prize. In italiano e' appena stato pubblicato un suo nuovo romanzo, "L'albero delle arance amare".
Jokha Alharthi e' una straordinaria, prolifica, attenta narratrice di saghe familiari, sospese tra la penisola arabica e l'Europa. Leggere lei, oltre a farci godere di una scrittura in una lingua araba tersa, cristallina e moderna, ha il pregio di risvegliare l'interesse per un'area geografica la cui produzione e' rimasta non tradotta e dunque sconosciuta al pubblico occidentale. Con la vincita del Man Booker International e con una splendida traduzione in lingua inglese, la Alharthi ha acceso l'attenzione su un Paese gentile e affascinante, l'Oman, e sulla cultura qui prodotta dalle donne e che parla anche di donne. Da non perdere, se vi piace un po' di mistero, gli intrecci familiari, il sapore di "Piccole donne" e un modo di scrivere pieno di grazia e delicatezza.
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