Mis(S)conosciute - La newsletter #41 - Joyce Lussu contro la guerra, libri per le vacanze, Sahar Khalifa e Intermezzi palestinesi.
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Fuori la guerra dalla storia: l’impegno per la pace delle scrittrici.
di Mis(S)conosciute
Il 13 giugno 2024 abbiamo partecipato alla conferenza nazionale di Public History “Anvedi che Storia!” dell’AIPH, nel panel “Public History per la pace: dai Media ai Network internazionali di illustratori” coordinato da Valeria Palumbo. L’introduzione della newsletter di questo mese è tratta dall’intervento che abbiamo tenuto durante il convegno.
Sulla guerra e sulla pace, da che mondo è mondo, è stato detto tutto.
E non è servito a niente
Joyce Lussu
In un mondo sempre più pericolosamente sull’orlo del baratro e di una guerra incessante sparpagliata su innumerevoli fronti, per iniziare soffermiamoci velocemente su una serie di fatti attualissimi, iniziando da questo brano:
Dato che le armi ci sono, e che non possiamo farle sparire di colpo per magia o per mozione di buoni sentimenti, dovremmo considerare, come cittadini aspiranti alla democrazia in qualsiasi paese del mondo, e soprattutto come donne stufe di essere sballottate qua e là da poteri maschilisti, nostro diritto primario conoscerle e gestirle; vogliamo che ci siano forniti tutti i dati informativi su questo settore determinante della nostra vita associata, per poterci formare un’opinione esatta e concreta, nell’interesse della democrazia e della comunità nazionale.
Vogliamo sapere tutto sul costo e l’entità delle forze armate, sulle armi che si fabbricano, si comprano e si vendono, sui meccanismi degli stati maggiori e dei servizi di sicurezza, sulle servitù nei confronti di comandi alleati e sulle basi militari straniere; e anche, dato che secondo l’art. 11 della Costituzione l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ossia organizza le forze armate solo per fini di difesa del suolo patrio da eventuali attacchi, vorremmo sapere qual è la minaccia potenziale alla quale si commisura il nostro apparato di difesa; per difendersi, è bene farsi un’idea di ciò che ci minaccia.
Joyce Lussu, L’uomo che voleva nascere donna
Il 21 febbraio 2024 il senato ha trasmesso alla commissione parlamentare competente della Camera il disegno di legge 1730 presentato dal Governo, con primo firmatario il ministro degli esteri Tajani, recante Modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185 che regola le norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento.
Le parole appena lette sono molto calzanti: infatti, tra le altre cose, le modifiche alla legge prevedono una sostanziale modifica del contenuto e della tempistica della relazione sulle attività disciplinate dalla legge che il governo è tenuto a presentare in Parlamento ogni anno. Al momento la relazione contiene tutti i dati salienti su questo settore: cosa viene esportato nel dettaglio, a chi, a quale paese e a quali cifre. Se il ddl passerà, le relazioni saranno molto più sommarie, come sottolineato da Giorgio Beretta (Consigliere scientifico dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa – OPAL) durante un’audizione informale del 27 marzo 2024.
Grazie a questa relazione, possiamo sapere se le aziende che operano nel settore dell’industria bellica italiana (tra le quali c’è in testa Leonardo, nel 2022 al 13° posto della top 15 dei produttori di armi a livello globale), vendono armi a paesi in guerra alimentando le escalation di violenza o, per esempio, strumenti per disinnescare mine inesplose in paesi usciti da momenti bui.
Le parole lette in apertura, così attuali, non sono un’elaborazione del collettivo Mis(S)conosciute, ma le ha scritte 46 anni fa una scrittrice italiana del ‘900 che da parecchio tempo studiamo e che si chiama Joyce Lussu. Il libro in cui sono state scritte si intitola “L’uomo che voleva nascere donna” ed è stato pubblicato nel 1978 - oggi reperibile grazie a edizioni Malamente - 12 anni prima che la legge 185, che prevede proprio ciò che Lussu si auspicava, venisse varata.
Il nucleo della ricerca del progetto Mis(S)conosciute è l’ampliamento del canone letterario e la rivalutazione della voce silenziata delle donne (rappresentanti della categoria dell’ “Altro” per eccellenza) in letteratura e, di conseguenza, nell’intero sistema sociale, economico e politico.
Uno dei cliché principali sulla letteratura scritta da donne, la letteratura scritta dalle scrittrici, è che sia di poco interesse generale perché parla di cose “femminili”, argomenti “da donne” non di respiro universale che a un pubblico maschile difficilmente possono interessare. Tralasciando il fatto che pensiamo che argomenti come la maternità, l’amore, la violenza sulle donne e la vita casalinga siano argomenti che dovrebbero interessare anche gli uomini perché parte anche delle loro vite, come vedremo oggi le scrittrici non parlano “solo” di cose da donne. Parlano anche di cose da uomini come la guerra, la politica, la lotta per i diritti civili.
Come dimostra il breve brano letto poco fa, l’intera produzione letteraria e saggistica della scrittrice Joyce Lussu non si occupa di “cose da donne” ma sviluppa una approfondita riflessione su tematiche fondamentali come i meccanismi della guerra, la necessità della pace, le storture dei sistemi politici e sociali che alimentano i sistemi bellici e quindi le ingiustizie sociali.
Joyce Lussu è una donna che sfugge alle etichette: partigiana, scrittrice, attivista politica antifascista e anticolonialista, traduttrice, storica, è stata per tutta la sua vita infaticabilmente impegnata nell’analisi dei problemi della società contemporanea e nel tentare di immaginare alternative possibili. Nella sua riflessione un posto centrale è riservato al ruolo che la donna deve conquistarsi nell’ambito di una civiltà e di una storia patriarcale e maschilista, dalle quali è stata troppo a lungo cancellata.
Ne l’uomo che voleva nascere donna la scrittrice indaga le radici del potere, delle ingiustizie e della violenza e individua il problema principale da risolvere nella contemporaneità proprio nella guerra e nel prosperare dell’industria bellica: Secondo Lussu, sarebbe utile discutere l’argomento “guerra” con il maggior numero di donne possibile, ponendo al centro delle analisi il problema del POTERE e perciò, di conseguenza, quello delle ARMI.
Cominciai a riflettere sulle armi, sulla gran differenza di potere tra chi le ha e chi non le ha (…) sull’urgenza di liberarsi dalla guerra se vogliamo sopravvivere, sulla novità che l’irruzione delle masse femminili, escluse da millenni dalla gestione delle armi, potrebbe determinare se decidessero di occuparsene.
Joyce Lussu
Lussu riflette sull’assetto degli equilibri geopolitici a livello mondiale nel post ‘68 e analizza gli avvenimenti di ogni parte del mondo: guerre e guerriglie dal Vietnam all’Africa, pulizie etniche, genocidi come quelli dei curdi e dei palestinesi, insomma un groviglio di contraddizioni, confusione politica e ideologica.
“La spinta determinante delle vicende che si susseguono [soprusi, guerre, genocidi, terrorismo, violenza di ogni tipo, ecc] viene secondo Lussu da tre fatti precisi:
dalle esigenze strategiche delle superpotenze configuratesi dopo la seconda guerra mondiale [la cui esigenza primaria è dominare le proprie porzioni di mondo e conquistarne sempre di nuove]
dall’espansione dell’industria bellica in senso capitalista
dagli altissimi profitti derivanti dal traffico di armi legale o illegale
I fatti con cui abbiamo aperto l’intervento ci dicono che a differenza di quanto auspicava Lussu e con lei altre attiviste e intellettuali, in quasi 50 anni ben poco è cambiato nella gestione dell’industria bellica e che essa è ancora al centro della vita politica delle democrazie contemporanee: non è stata per nulla ridimensionata dal dopoguerra ad oggi, al contrario costantemente alimentata e resa più avanzata tecnologicamente.
L’industria della guerra costituisce ancora un fondamentale motore economico per le cosiddette democrazie liberali: basta guardare ai bilanci e alle relazioni presentate di anno in anno in parlamento grazie ai dettami della legge 185/1990: è un settore che cresce costantemente spostando capitali vertiginosi e producendo profitti altissimi.
Qualche dato:
SPESE MILITARI A LIVELLO GLOBALE DAL 2001 AL 2023
Dal 2001 la spesa militare è più che raddoppiata. Si passa da 1,139 bilioni di dollari a 2,44 bilioni di dollari nel 2023.
SPESA MILITARE 2023
ITALIA: 35,5 miliardi di dollari
USA: 916 miliardi di dollari
ESPORTAZIONE ARMI
1976: Italia 4 paese esportatore di armi a livello mondiale dopo Usa, Urss e Francia.
2024: Italia 6 paese esportatore (leader Leonardo) con il 4,3% del mercato dominato dagli USA con il 42%. Il principale paese importatore nel 2020 è l’Egitto, con quasi un miliardo di importazioni.
VENDITA ARMI 2022
Nel 2022 Leonardo si piazza al 13 posto nella top 15 dei produttori di armi a livello mondiale, con vendite totali per 15 miliardi di cui 12,4 in armi.
Il trend è in crescita. Stando a quanto annunciato nel piano industriale 2024-2028 presentato nel marzo 2024, l’azienda prevede ordini per 105 miliardi di euro in 5 anni con ricavi per 94,3 miliardi di euro in 5 anni.
OCCUPAZIONE LEONARDO
2022: 51390 unità di cui 30000 in Italia (63%) e 0,5% in Israele.
OCCUPAZIONE INDUSTRIA BELLICA ITALIA
Analizzando l’andamento occupazionale dell’industria bellica in Italia si nota che nel corso del tempo guadagni e occupazione progrediscono in modo inversamente proporzionale: aumentano i guadagni, diminuiscono i posti di lavoro, in perfetto spirito di accumulazione del capitale nelle mani di pochi, a beneficio di pochi e a svantaggio di molti:
Anni ‘70 (fonte L’uomo che voleva nascere donna di Joyce Lussu): 300.000 occupati in 146 società.
Come si fa a immaginare un sistema alternativo? Ascoltando e conoscendo le testimonianze e la storia di chi si è visto piombare la guerra addosso e come unica possibilità di salvarsi la vita e rivoluzionare il sistema non ha avuto scelte se non la lotta, ripromettendosi poi, a guerra terminata, che mai più sarebbe accaduto qualcosa di simile, come durante la Resistenza.
Uno dei principali nuclei di ricerca del nostro lavoro divulgativo è costituito dalle storie delle donne che hanno fatto la Resistenza, partigiane e scrittrici: alle loro figure abbiamo dedicato numerosi contenuti, in particolare i 4 episodi podcast della Staffetta Mis(S)conosciute, due speciali episodi doppi costruiti in forma di vera e propria staffetta di voci che si passano il testimone per raccontare le storie delle partigiane.
Le scrittrici di cui ci siamo occupate sono donne che hanno partecipato attivamente alla lotta di Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, e che hanno raccontato nelle loro opere letterarie (autobiografiche e non) quel pezzo, fondamentale, di storia dal loro punto di vista. Sono autrici che hanno respinto la riduzione del ruolo delle donne a semplici “staffette”, sottolineando l’apporto politico e l’azione di cura attiva esercitata dalle partigiane - e dalle donne in generale con le loro azioni di difesa popolare non violenta - durante la lotta.
La Resistenza è stata un punto di snodo fondamentale nella presa di coscienza delle donne italiane del proprio valore e del proprio ruolo, finalmente ATTIVO, nella società.
Si è trattato indubbiamente di un momento di libertà per le donne: libertà di agire, di essere in prima linea, di partecipare, di lavorare e combattere al pari degli uomini, di gestire la vita comune in assenza degli uomini impegnati al fronte e quindi i mezzi di produzione e di sostentamento della comunità.
Questa esperienza è stata fondamentale per progettare e concretizzare, a guerra finita, una realtà in cui fosse possibile sottrarsi al determinismo che per secoli aveva oppresso le donne: ottenere il voto, sedere nella Costituente, conquistare alcuni diritti fondamentali prima negati, avere accesso a professioni che prima erano appannaggio esclusivo degli uomini, gettare le basi per un avvenire di giustizia.
“Fuori la guerra dalla storia”: questa frase soleva ripetere, come un motto, Lidia Menapace, piemontese, politica e partigiana, pacifista radicale.
Mai come oggi le sue parole-guida sono attuali e ci pongono di fronte all’inderogabile e incontrovertibile principio, da lei propugnato per una vita, che si può e si deve resistere anche senza armi. Il suo motto, a 79 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, suona sinistro perché da 8 mesi e da 28 mesi continuiamo ad assistere come paralizzati e inermi rispettivamente alle guerre in Palestina e in Ucraina.
Menapace, con il suo cognome parlante, ha ragionato per una vita intera sul concetto di guerra e di pace, come ha fatto Joyce Lussu. Ascoltiamola:
“Esiste una definizione giuridica positiva, formale, di che cosa è la guerra. Si dice “guerra: conflitto tra due stati attraverso le armi”. […] Invece la pace non è definita. Non si può dire che la pace è assenza di guerra, perché sarebbe come dire che il triangolo è assenza del quadrato, non si definisce mai una cosa per assenza di un’altra. Non si può nemmeno dire che la pace è la fine della guerra, no, perché il fine e la fine della guerra è la vittoria non la pace. C’è proprio un ampio spazio di definizioni giuridiche quindi conviene aprire un dibattito su che cosa si vuole che sia la pace. Io propongo una definizione che è: “governo non violento dei conflitti”. Vuol dire che si riconosce che i conflitti ci sono, in tutta la vita, tra le persone, tra i territori. Che è possibile tenerli sotto controllo, governarli, attraverso strumenti non violenti. Questa mi sembra una buona definizione di pace. Si può discuterne”.
Si può discutere, certo, eppure nessuno lo fa: oggi, la risoluzione non violenta dei conflitti in corso è un miraggio: con le guerre sullo sfondo noi viviamo senza che mai una discussione politica reale (ad esempio sul continuare o smettere di dare armi ad un Paese in guerra) entri nel dibattito pubblico e smuova le coscienze delle persone che pensano di vivere in un continente evoluto e democratico che da 8 mesi assiste inerme al massacro quotidiano dall’esercito israeliano nei confronti di decine di migliaia di civili palestinesi a Gaza.
Come insegna Joyce Lussu, parlare di guerra e guardare in faccia le sue conseguenze è forse l’unico modo per comprendere concretamente, materialmente il valore della pace e lottare, possibilmente in modo non violento, per preservarla e per abbattere l’ideologia della forza cieca che ancora muove l’agire politico delle “grandi potenze” quasi esclusivamente capeggiate da maschi over 70.
È vero o non è vero che qualsiasi soluzione diversa dalla pace è un assurdo e sinistro gioco d’azzardo, il quale nega qualsiasi razionalizzazione del concetto di guerra? [...] Che la riorganizzazione della produzione industriale con metodi non distruttivi della vita e dell’ambiente potrà farsi soltanto quando siano abolite in primo luogo le industrie belliche? Dobbiamo veramente subire la violenza e la distruzione come schiavi ebetizzati dalle macchine del consenso? Gli interrogativi sono tanti ed è probabilmente ora di porseli sul serio. Di porseli come donne che rifiutano l’alienazione e la delega inconsapevole. Parliamone. Discutiamo insieme una iniziativa politica, possibile e ragionevole, per cominciare a uscire da una situazione impossibile, irragionevole, e terribilmente pericolosa.
Joyce Lussu
Le scrittrici e attiviste di cui in questi anni ci siamo occupate e delle quali continuiamo ad occuparci come Joyce Lussu, Lidia Menapace, Teresa Mattei, Laura Wronowski segnano per noi una strada da seguire, un solco scavato in un terreno potenzialmente fertile e che potrebbe germogliare, se ben seminato.
Queste autrici non hanno soluzioni pronte o manuali per l’uso sicuramente efficaci per cambiare lo stato delle cose ma le loro idee e riflessioni tracciano senz’altro un percorso utile per provare a IMMAGINARE delle alternative possibili all’attuale contemporaneità che da tempo immemore si ripropone e reitera sempre uguale a se stessa.
Il pensiero e l’esempio che per fortuna ha trovato spazio nella scrittura di queste donne è sicuramente un efficace e importante punto di partenza.
Concludiamo quindi questa rapida panoramica sul pensiero e sull’agire delle scrittrici di cui abbiamo parlato oggi ricordando alcuni dei punti fondamentali rintracciabili nella loro opera e nel loro pensiero:
intanto, l’importanza del disarmo bellico e di una progressiva riduzione dell’industria bellica a livello globale
l’importanza di lottare utilizzando gli strumenti non violenti per la soluzione dei conflitti, ovvero il dialogo, la diplomazia, la parola e il confronto costruttivo, come suggerisce Lidia Menapace nella sua definizione di “Pace”.
Rivalutare e riconsiderare le minoranze sul piano politico, dar loro parole e considerazione, dignità e valore, qualunque esse siano: donne, migranti, bambini, anziani, ovvero le forze improduttive e/o sfruttate dal sistema capitalista neoliberale.
L’importanza fondamentale del racconto, della memoria, della cultura e dell’accogliere e far propri anche ALTRI punti di vista che ci aiutino a decodificare la complessità stratificata del mondo.
Speriamo che continuare a parlare di pace, come stiamo facendo durante questo convegno, alla lunga porti a risultati concreti ed efficaci e serva finalmente a qualcosa.
Lasciamo le battute finali alle parole di Fabrizia Ramondino, scrittrice e attivista profondamente vicina alle cause degli ultimi che oggi si sarebbe senz’altro schierata per chiedere a gran voce lo stop al genocidio, così come tutte le autrici di cui abbiamo parlato oggi.
Nella guerra Ramondino riconosceva un agglomerato di pretesti immaginari e inventati dall’uomo per giustificare le proprie azioni violente di conquista:
“Il problema della pace è al centro oggi dei miei interessi, delle mie preoccupazioni, delle mie angosce: come essere umano, come donna, come militante, come artista. […] Ho maturato posizioni pacifiste radicalmente non violente, che riguardano quindi non solo il mio atteggiamento verso le guerre ma anche verso quelle passate: per me tutte le guerre sono e sono state come la guerra di Troia, combattute per un fantasma”
Fabrizia Ramondino
Focus Palestina è una rubrica dedicata ad approfondimenti sulla Palestina.
Si divide in due filoni:
gli approfondimenti dedicati alla letteratura palestinese in cui le autrici e curatrici del progetto divulgativo Oriental Book Club raccontano ogni mese una scrittrice palestinese da scoprire.
Intermezzi Palestinesi, una rubrica curata da Federica Marri: condividiamo le sue cronache dai Territori palestinesi occupati, quei fatti grandi e piccoli che inframezzano la sua vita e, di rimando, quella di chi le presta ascolto. Un nuovo spazio della newsletter Mis(S)conosciute - Scrittrici (e altre cose) tra parentesi, pensato per allargare la partecipazione ad una riflessione collettiva approfondita e urgente.
La cosa che forse più ci appaga del progetto Mis(S)conosciute è la possibilità che ci dà di fare rete con altre persone, di ampliare lo sguardo sull’esistente. Qualche mese fa Giuliana Arena, nostra ex allieva di un corso podcast tenuto lo scorso anno, ci ha messe in contatto con Federica Marri, un’esperta in differenze di genere e intersezionalità che vive tra Italia e Palestina. Federica ci ha contattate inizialmente per un supporto tecnico per sviluppare un’idea: un progetto che lentamente sta prendendo forma e che speriamo di potervi presentare presto. Nel frattempo, mentre cresce e si struttura, da quell’idea iniziale è già nata una diramazione: una nuova rubrica di “Focus Palestina” che si chiama “Intermezzi Palestinesi”.
Federica da qualche giorno è a Ramallah con il marito palestinese e il loro figlio sedicenne, per trascorrere l’estate con la loro famiglia che vive nei territori occupati. Mentre il nostro progetto “più grande” è momentaneamente in attesa, lo scambio tra noi in questo periodo è costante e Federica ci sta inviando quasi giorno per giorno, come e quando può, cronache grandi e piccole dai territori occupati.
Come accade leggendo le storie e la parole delle autrici palestinesi che raccontiamo con Giulia e Frida di Oriental Book Club, i resoconti di Federica ci aiutano a mettere a fuoco cosa vuol dire essere palestinesi, cosa vuol dire vivere in una terra occupata e costantemente assediata come la West Bank, occupazione militare iniziata ben prima della guerra deflagrata 9 mesi fa.
Federica è la nostra inviata sul campo e i suoi racconti ci stanno dando tanto materiale su cui riflettere. Questo spazio è pensato per allargare la partecipazione ad una riflessione collettiva approfondita e urgente: condivideremo qui le sue cronache dai Territori palestinesi occupati, quei fatti grandi e piccoli che intermezzano la sua vita e, di rimando, quella di chi le presta ascolto.
INTERMEZZI PALESTINESI di Federica Marri
Qualche giorno fa sono arrivata in Palestina. Con mio marito e il nostro figlio sedicenne trascorreremo l'estate qui, con la nostra famiglia palestinese. Ho deciso di lasciare traccia in questi spazi virtuali della mia permanenza qui e di cosa vuol dire vivere in Palestina nella routine del quotidiano. Una racconta di intermezzi sulla vita in Palestina.
Questo primo intermezzo parla di acqua, ma anche di diritti, ingiustizie e piccole cose quotidiane che sono semi delle più grandi atrocità che ci circondano.
Stamani è arrivata l’acqua e finalmente possiamo dedicarci alle lavatrici.
Il problema acqua mi ha investita appena entrata in casa, a Ramallah. Mohammad, mio marito mi ha aggiornata sul programma di fornitura dell’acqua nella nostra zona dicendomi che il Jerusalem Water Undertaking aggiorna il sito in tempo reale. Ovviamente la gestione del rubinetto è sotto il controllo israeliano.
Ma prima di soffermarci sull’acqua, ripercorriamo le tappe da domenica sera, il 30 giugno, quando sono partita dall’Italia con mio figlio per venire qui a casa, a Ramallah.
[continua a leggere sul blog]
Focus Palestina - Oriental Book Club
La scrittrice: Sahar Khalifa
Quando nel 1990 Sahar Khalifa pubblica in arabo La porta della piazza (trad. in italiano nel 2002 per Editoriale Jouvence) siamo al culmine della Prima Intifada iniziata nel 1987 e il romanzo suscita fin da subito forti critiche.
Dal libro possiamo vedere che le donne non stanno solo combattendo la maggiore oppressione degli israeliani. Stanno anche combattendo contro le figure patriarcali all’interno delle loro case - mariti, padri, fratelli - mentre allo stesso tempo svolgono anche i loro doveri domestici - lavare, cucinare, crescere i figli - gestire tutto.
(Sawad Hussain, traduttrice inglese di La porta della piazza)
Come già a Suaad Genem (ve ne avevamo parlato qui), a Khalifa non si lascia passare l’aver evidenziato la partecipazione delle donne alla rivolta né, soprattutto, l’aver dipinto gli uomini, gli eroi della patria palestinese, come gli oppressori tra le mura domestiche.
La scrittura di Khalifa, e così la sua vita, ci mette davanti a delle scelte radicali e politiche, come si legge nella sua autobiografia, A novel for my story:
Ero una donna: giovane, sola, divorziata, rimasta senza un tutore o una virtù, il che significava che agli occhi della società ero un bersaglio facile; dopotutto, l’accesso a me era libero e chiunque bussasse alla porta sarebbe stato ovviamente accolto immediatamente senza il minimo indugio. Una donna in questa situazione, in questa nostra generazione, con le nostre convenzioni sociali, le nostre leggi islamiche e secolari, non troverà la libertà attraversando rapidamente un confine o con il tocco di una bacchetta magica. La lotta delle donne per la liberazione non è molto diversa da quella della nazione. L’una è politica quanto l’altra. La differenza è che la politica nazionale è glorificata, incoronata da un alone. Ma quando si tratta di lotta femminista e sessuale, ci sono sfide, lamentele e accuse arbitrarie che a volte raggiungono l’apice dell’eresia o persino del tradimento. Eppure questa lotta è anche politica. La strada per la libertà è politica.
[continua a leggere sul blog]
Oriental Book Club è un podcast e un progetto di divulgazione letteraria indipendente pensato e scritto da Giulia&Frida. Si occupa di libri dal Mediterraneo, dal mondo arabo e persiano e dall’Asia.
LIBRI PER LE VACANZE (E NON SOLO)
Qualche settimana fa una nostra amica che insegna italiano alle medie ci ha chiesto di aiutarla a stilare un elenco di scrittrici e titoli da proporre alle sue classi durante il prossimo anno scolastico.
Nello specifico ci ha chiesto aiuto su diversi punti:
Un elenco di scrittrici e testi da inserire all’interno del programma di italiano da introdurre e spiegare durante le sue lezioni con le diverse classi;
Un elenco di titoli di romanzi (ma non solo, anche racconti, saggi, autobiografie) di scrittrici da poter suggerire alle sue classi come letture da portare avanti in autonomia sia durante l’anno che durante le vacanze estive.
Un elenco di testi (romanzi, saggi, racconti) da studiare per preparare le lezioni e implementare nel programma una più ampia riflessione sul canone letterario e sull’assenza delle scrittrici.
Abbiamo stilato un primo elenco di titoli a nostro avviso adatti e/o adattabili (attraverso la guida delle insegnanti) a ragazze e ragazzi di 11-13 anni (ma si possono ovviamente proporre anche a ragazz* più grand*) e poi abbiamo pensato di chiedere l’aiuto da casa a voi che ci seguite. Abbiamo raccolto tutti i suggerimenti e i titoli e li abbiamo organizzati in una lista divisa per macro aree.
Quindi visto che le vacanze estive si avvicinano, la rubrica Bio(S)conosciute di questo mese è dedicata ai consigli di lettura, adattabili a tutte le età!
Speriamo che questi suggerimenti possano essere utili!
I SUGGERIMENTI DI MIS(S)CONOSCIUTE
GUERRA E DOPOGUERRA - ROMANZI
FAUSTA CIALENTE, Un inverno freddissimo (Nottetempo)
ALBA DE CéSPEDES, Dalla parte di lei (Mondadori)
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