Mis(S)conosciute - La newsletter #6: Grace Paley, Manuela Piemonte e Meri Lao
Scrittrici (e altre cose) tra parentesi
Ciao!
Questa è la newsletter di Mis(s)conosciute - scrittrici tra parentesi: noi siamo Giulia Morelli, Maria Lucia Schito e Silvia Scognamiglio e in questo spazio parliamo di tutto ciò di cui secondo noi si parla ancora troppo poco e di tutte quelle tematiche sulle quali vorremmo porre l’accento e accendere riflessioni. Le newsletter precedenti puoi trovarle qui.
In questi giorni di caldo e inutili polemiche siamo anche noi rimaste rapite dall’eccezionalità di un evento quasi ordinario, i Giochi della XXXII Olimpiade, da cui gli atleti italiani tornano con un bottino di medaglie decisamente lauto e impronosticabile. Non bastassero la pandemia e la mancanza di pubblico, per essere ancora più eccezionali stavolta le Olimpiadi si sono svolte a cinque anni dai precedenti e a tre dai successivi. Anche quest'anno, come ogni quattro, si sono radunati in una sola città atleti provenienti da tutte le parti del mondo: i discorsi nati intorno ad esse - e alla mitologia sportiva, foriera di racconti emblematici - sono sempre interessanti, e variegati, e spesso utili per capire a che punto siamo.
A che punto siamo con la sessualizzazione dei corpi delle atlete, ad esempio? La prima polemica di quest’Olimpiade ha riguardato la nazionale di beach handball femminile della Norvegia, multata per essersi rifiutata di giocare in mutande: secondo il regolamento, le giocatrici devono indossare «slip del bikini con una vestibilità aderente e tagliati con un angolo verso l’alto verso la parte superiore della gamba»; inoltre, «i lati dello slip del bikini non devono essere più di quattro pollici». Ma perché? Non si sa, ma le regole sono regole, e per fortuna alla multa ci pensa P!nk. Naturalmente non sono mancate le lamentele totalmente fuori fuoco: dove finiremo, signora mia, a gareggiare coi burqa (indovinate di che sesso era la maggioranza dei lamentatori). A parte che non ci sarebbe nulla di male, il concetto è che a un’atleta dovrebbe essere permesso di usare l’uniforme che più le aggrada (se non la avvantaggia tecnicamente, come fu per i costumoni dei nuotatori). Lo hanno spiegato molto bene, qualche giorno dopo, le ginnaste tedesche, che già da tempo si battono in questo senso.
E già che siamo in tema di ginnastica, a che punto siamo con la retorica della fragilità? Parliamo di quello che probabilmente è stato IL caso di queste Olimpiadi, ovvero il ritiro di Simone Biles, la ginnasta più medagliata di sempre, da tutte le competizioni - eccetto il volteggio, nel quale comunque ha conquistato un bronzo. La discussione sulla salute mentale degli atleti (e soprattutto di questi strani esseri volubili noti come atlete) viene da più lontano, e cioè dal ritiro di Naomi Osaka dall’ultimo Roland Garros - dopo una vittoria, per di più. Da allora non si fa che dire poverine queste ragazze, non reggono la pressione queste ragazze, o come aveva fatto Novak Djokovic prima di perdere il bronzo e fracassare la racchetta sul cemento di Tokyo: gne gne gne la pressione è un privilegio (a che punto siamo col mansplaining? A un punto morto). Epperò la Osaka più che la pressione non reggeva i giornalisti (come darle torto). E Simone Biles poteva scegliere di fingere un infortunio e invece davanti ai media di tutto il mondo ha detto: non ci sto con la testa. Ovviamente questo non è bastato a Repubblica che il 28 luglio ha scelto di titolare La forza e la fragilità. Le donne protagoniste a Tokyo: Pellegrini infinita, Biles in tilt, correggendo il tiro solo parzialmente un paio di giorni dopo con un commento a firma di Michela Murgia.
A che punto siamo coi diritti delle madri lavoratrici, con l’uguaglianza dei sessi anche in ambito sportivo? Allyson Felix è una velocista statunitense. Ha 35 anni, che per una velocista non sono pochi, e una figlia, nata nel 2018 con un cesareo d’urgenza. Nel 2019 sul New York Times aveva denunciato il suo sponsor, Nike, perché le aveva ridotto il compenso del 70% nei mesi successivi al parto. Grazie alla sua battaglia - e alle polemiche che ne sono seguite - Nike ha poi annunciato nuove politiche a protezione della maternità delle atlete. Allyson Felix avrebbe potuto serenamente andare in “pensione” tre anni fa, con una quantità di record e medaglie che avrebbero fatto impallidire chiunque, e invece no: si è presa con le unghie e con i denti un bronzo nei 400m contro avversarie ben più giovani di lei, diventando la più medagliata nella storia dell’atletica alle Olimpiadi.
E per finire ancora con l’atletica, che tanto ci sta facendo urlare davanti ai televisori: a che punto siamo con la rappresentazione delle donne nei media? Non abbiamo molto da aggiungere davanti a quest’articolo della Gazzetta: Nicole e Chiara, le medaglie più belle di Jacobs e Tamberi. Scritto da una donna, peraltro (magari titolato da un uomo, non ci sorprenderebbe). Ci aiutate voi?
Grace Paley
(1922-2007)
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