Mis(S)conosciute - La newsletter #21: Fausta Cialente, Mara Sabia e Alda Merini
Scrittrici (e altre cose) tra parentesi
Ciao!
Questa è la newsletter di Mis(S)conosciute - scrittrici tra parentesi: noi siamo Giulia Morelli, Maria Lucia Schito e Silvia Scognamiglio e in questo spazio parliamo di tutto ciò di cui secondo noi si parla ancora troppo poco e di tutte quelle tematiche sulle quali vorremmo porre l’accento e accendere riflessioni.
Ci trovi ogni mese nella tua casella mail, sul nostro blog e sui nostri social, soprattutto su Instagram. Se ti va, puoi anche offrirci un caffè su Ko-Fi.
N.B 2: Da marzo 2022 i numeri della newsletter sono “ascoltabili” su Spreaker e su tutte le piattaforme!
Prima di cominciare con la newsletter vera e propria, un piccolo annuncio sulla logistica legata al merchandising di Mis(S)conosciute in vista anche del periodo natalizio: se per i regali di Natale state pensando già a un dono targato Mis(S)conosciute, è arrivato il momento di mettervi un po’ di ansia pre-natalizia (che ci sta già cogliendo in pieno, ahinoi!)!
Stiamo riassortendo le shopper (non appena arriveranno aggiorneremo le quantità disponibili su Ko-fi) e ci sono ancora poco meno di 100 copie del poster dell’iceberg delle scrittrici del ‘900 illustrato da Virginia Taroni.
Visto il mese intenso che ci aspetta, abbiamo deciso di cercare di giocare d’anticipo per evitare il più possibile il congestionamento delle poste nel periodo natalizio e quindi di scongiurare ritardi e smarrimenti dei pacchi in vista di Natale.
Abbiamo quindi deciso che le ultime spedizioni utili prima di Natale le effettueremo il 6 dicembre.
Per chi volesse assicurarsi subito un poster, le prime spedizioni utili partiranno entro le prossime due settimane.
Per qualsiasi informazione, dubbio o domanda scriveteci a missconosciute@gmail.com!
Ci conterremo in questa introduzione perché, come vedrete, la newsletter è corposa, forse addirittura più del solito, soprattutto per quanto riguarda gli eventi online e dal vivo che ci vedono protagoniste nel mese di novembre e ai primi di dicembre.
Un autunno davvero “caldo”, non solo climaticamente (e speriamo che su questo versante COP27 possa concludersi con qualche provvedimento decisivo, anche per quanto riguarda la tutela dei diritti civili e umani in Egitto).
Gli impegni ci travolgono ma siamo felicissime di poter portare Mis(S)conosciute in giro per l’Italia e incontrare chi ci segue o anche chi non ci segue ma ha qualcosa da raccontarci rispetto ad autrici dimenticate e da riscoprire.
Il calendario novembrino è fitto e a partire dalla prossima settimana ci tuffiamo in un mini-tour nordico che ci porterà a Milano, Bologna, Parma, Manzano (UD), Trieste e di nuovo a Parma, a inizio dicembre, dove, tra il 1° e il 4 dicembre si svolge Scintille di Natale, manifestazione che co-curiamo e nell’ambito della quale guideremo alcuni incontri con autrici e autori e podcaster, cercando di inseguire, attraverso le parole e le riflessioni delle nostre interlocutrici e dei nostri interlocutori, il filo rosso che unisce le nostre grandi passioni: la letteratura, la scrittura e l’audio.
Passeremo da librerie e convegni a premi letterari, nelle prossime settimane, e soprattutto - ne siamo molto orgogliose - dalle scuole: nell’ambito di Book City Milano Scuole, infatti, incontreremo, in due occasioni diverse, gli studenti di alcune classi di scuole superiori milanesi. Siamo molto emozionate e ovviamente anche molto agitate all’idea di incontrare ragazzi e ragazze nel pieno della loro formazione e provare a raccontare loro che c’è un iceberg gigantesco che ingombra l’oceano del canone, soprattutto novecentesco, cercando di stimolare il loro sguardo, le loro letture, mettendogli a disposizione una prospettiva, forse per molt* di loro nuova, dalla quale osservare la storia della letteratura, che li ha appassionati o forse, più probabile, annoiati fino ad oggi. Esistono voci e punti di vista diversi a cui ci piacerebbe che potessero accostarsi con consapevolezza ma anche con l’audacia dell’azzardo giovanile, perché, lo diciamo sempre e ci crediamo ancora, la scuola è il vero e nevralgico punto di partenza della rivoluzione delle Mis(S)conosciute, al di là di ogni moda editoriale e di ogni proclama trending topic. Sapere che esistono le autrici, leggerle, conoscerle, approfondirne le istanze è l’unico modo possibile per espandere il canone e formare nuovi lettori e lettrici, che si approprino del senso della differenza e riescano, con lucidità e competenza, a pensare alla letteratura come a un campo di forze poetiche ed estetiche che trascendono dal genere di chi ne scrive.
Con massima umiltà, ci impegniamo ad essere strumenti e veicoli credibili di questo cambiamento di prospettiva e con grande gioia non vediamo l’ora di incontrare i giovani lettori e lettrici, tra cui, probabilmente, si nascondono le autrici e gli autori di domani.
Ciò detto, se siete adulti fatti e finiti e vivete in o passate per caso o per necessità da una delle città sopra menzionate e non avete impegni nelle date previste, passate a trovarci: saremo davvero felici di incontrarvi!
9 novembre [ONLINE]
si conclude il nostro primo corso di podcast con Penelope Story Lab e siamo molto tristi: è stato un percorso in 5 lezioni denso e bellissimo, in cui abbiamo conosciuto un gruppo di ragazze e donne veramente forti, che hanno saputo ispirarci e con le quali c’è stato un sincero e produttivo scambio. Speriamo di aver dato loro la spinta giusta per mettersi al lavoro sulle loro idee (fichissime!)… e non vediamo l’ora di ascoltare i loro podcast indipendenti al più presto!
10 novembre [ONLINE]
Alle 19:00 moderiamo Intervallo - Il gruppo di lettura della Scuola del Libro: leggiamo assieme Amatissime, il nuovo libro di Giulia Caminito, e ne parliamo in 3 incontri. Il primo è con l’editor Antonio Esposito (Giulio Perrone Editore).
17 novembre [MILANO]
Alle 12:00 alla Fondazione AEM parliamo di - e sonorizziamo - uno dei nostri cavalli di battaglia, L'iceberg delle scrittrici italiane del '900, ad uso e consumo di alcune classi di scuole superiori a Book City Milano Scuole, con la complicità di Giulia Lombezzi, drammaturga e scrittrice.
17 novembre [MILANO]
Alle 20:30 siamo ospiti di Ping Pong, format ideato dalla Libreria Noi, che mette a confronto due autori e/o agitatori culturali a partire da un tema comune: noi siamo le protagoniste di un “match” amichevole su Fausta Cialente - bio(s)conosciuta del mese - con Emmanuela Carbè, curatrice della nuova edizione di Un inverno freddissimo per nottetempo. L’evento è gratuito ma è gradita la prenotazione su Eventbrite! See you in Nolo!
18 novembre [MILANO]
Teniamo un mini-workshop dal titolo Iceberg e podcast: l'audio come risorsa per riscoprire autrici dimenticate per gli studenti di alcune classi del Liceo Artistico Caravaggio, sempre nell’ambito di Book City Milano Scuole.
20 novembre [BOLOGNA]
Alle 18:30 presentiamo il progetto Mis(S)conosciute alla Libreria Sette Volpi, alla Bolognina.
21 novembre [PARMA]
Siamo tra le relatrici del convegno Ragazzə del Futuro - Verso l’Agenda ONU 2030 organizzato dall’AUSL di Parma.
25 novembre [MANZANO - UD]
Il 25 novembre pomeriggio, a partire dalle ore 18:00 siamo ospiti del Premio letterario Caterina Percoto, in dialogo con Sergia Adamo e Jessy Simonini. Anche in questa importante occasione, naturalmente, due parole sulle “nostre” autrici nell’ombra non possiamo non dirle…
27 novembre [TRIESTE]
alle 10:30 presentiamo il progetto Mis(S)conosciute alla Libreria UBIK Tergesteo con la stupenda Gioia Battista, scrittrice e drammaturga.
1 dicembre [ONLINE]
alle 18:30 moderiamo il secondo incontro di Intervallo - Il gruppo di lettura della Scuola del Libro: discutiamo Amatissime di Giulia Caminito con i partecipanti al gruppo.
1 - 4 dicembre [PARMA]
ci trovate a presenziare/moderare/chiacchierare/bere gin tonic/occasionalmente pure a servire ai tavoli a Scintille di Natale, la festa natalizia di Scintille Bookclub, che abbiamo co-curato nell’ambito della rassegna culturale “Oltre il Canone”. Una serie di incontri e talk con tant* ospit* - di cui andiamo molto fiere! - in vari luoghi della città.
2 dicembre [PARMA]
in mattinata, presiediamo un breve workshop sul podcasting per gli studenti di alcune classi del Liceo Scientifico G. Ulivi
Uno spazio in cui una scrittrice ospite consiglia ai lettori di #missconosciute un’autrice da leggere: la sua autrice preferita, una scrittrice troppo poco nota, poco pubblicata, un libro poco conosciuto di un’autrice famosa o la scrittrice che secondo lei tutti dovrebbero leggere.
MARA SABIA LEGGE ALDA MERINI
MARA SABIA è nata a Potenza nel 1983, vive a Roma. Docente di materie letterarie, poetessa e attrice, si laurea in Lettere Moderne con uno studio monografico sull’opera di Alda Merini e si specializza in Filologia Linguistica e Letteratura dell’età moderna. Ha pubblicato le sillogi Giorni diVersi (Potenza, 2001), Diario di un amore (L’Autore Libri Firenze, 2011) e Le strade del bacio (La vita felice, Milano 2020). Nel 2015 ha vinto il Premio Internazionale di Letteratura Alda Merini con il saggio La rappresentazione manicomiale nella cultura letteraria del Novecento italiano pubblicato nel 2017 da Lietocollelibri. Curatrice di eventi culturali, è performer in mostre, presentazioni ed eventi d’arte; dal 2016 è partner del progetto letterario La setta dei poeti estinti. Attualmente è Dottoranda in Italianistica presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
Alda Merini o del canto di una Fenice
Parlare di Alda Merini implica trattare l’incandescente materia manicomiale, fare i conti con il canto che sorge terribile e meraviglioso “in momenti di una speciale lucidità benché i fantasmi che recitano da protagonisti nel teatro della sua mente provengano spesso da luoghi frequentati durante la follia”, come scrive Maria Corti.
Quella meriniana è una poesia che a mio avviso è impossibile comprendere nel profondo se scissa dalla biografia dell’autrice, poiché trae linfa e potenza proprio dall’essenza della vita, anche nella sua drammaticità. Una poesia difficile, contrariamente a quanto appare, mai banale e che presenta caratteristiche specifiche e originali. Anche le fonti non sono sempre ben distinguibili nella poesia meriniana: ricordiamo che parliamo di una poetessa che non ebbe studi regolari, che deve la sua formazione letteraria in parte alla passione del padre per la letteratura, in particolar modo per Dante e in parte ai libri che le furono prestati negli anni giovanili dagli amici, uno su tutti Giorgio Manganelli. Qualcuno ha visto nei suoi versi l’ombra di quelli di Rilke, oltre le matrici classiche ereditate da una passione per Quasimodo e i lirici greci.
Il suo gusto letterario e il suo talento precoce prendono forma nei salotti letterari milanesi dell’immediato dopoguerra. Nel 1947 l’amica Silvana Rovelli, cugina di Ada Negri, segnala alcune delle poesie della giovane Merini ad Angelo Romanò, il quale le passa, a sua volta, a Giacinto Spagnoletti, il primo a pubblicarla nel 1950 nella celebre antologia Poesia Italiana Contemporanea 1909-1949 edita da Guanda. L'anno successivo, le stesse liriche, vengono incluse da Vanni Scheiwiller nel volumetto Poetesse del Novecento, su consiglio di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani. I salotti della Milano letteraria sono particolarmente stimolanti per la giovane poetessa: si confronta con Giorgio Manganelli, Luciano Erba, David Maria Turoldo, Giacinto Spagnoletti, incontra Maria Corti, che sarà sua amica e sostegno per tutta la vita. Sono interessanti e pittoreschi i racconti della filologa che le metteva a disposizione, anche per la sua frequentazione giovanile con Giorgio Manganelli, il suo pied-à-terre in via Sardegna a Milano, se siete curiosi potete leggere i particolari nell’introduzione alla raccolta Vuoto d’amore edita da Einaudi nel 1991.
Maria Corti è una figura chiave nella vita di Alda Merini: sarà lei ad esserle vicina nei momenti più difficili, a restituirla al mondo letterario quando, all’uscita dal manicomio, Merini era stata ormai dimenticata dal panorama editoriale, e fu sempre la Corti a curarne diverse raccolte, nonché a raccogliere le carte Merini nel Centro Manoscritti di Autori Moderni e Contemporanei dell’Università di Pavia, da lei stessa fondato, sottraendoli così alla dispersione.
Il 1947 è un anno cruciale per l’esordio poetico di Merini, ma è anche la data in cui incontrerà per la prima volta i fantasmi della mente che la tormenteranno per tutta la vita: sarà infatti internata per un mese nella clinica milanese Villa Turro. All’uscita Giorgio Manganelli l’accompagnerà dagli specialisti Musatti e Fornari, Maria Corti da Clivio. Gli anni Cinquanta sono fecondi per la poetessa impegnata a scrivere molti dei testi che costituiranno la sua prima raccolta edita: La presenza di Orfeo, quinto quaderno della collana “Campionario” diretta da Giacinto Spagnoletti per Schwarz. Qui spiccano le dediche a Giorgio Manganelli, vero maestro di stile per la giovane Merini, nonché suo primo amore. All’epoca Manganelli aveva 26 anni, una moglie e una figlia. Merini appena 16 anni. Era la “ragazzetta milanese” di cui Pasolini parlava come di uno strano prodigio tra le pagine di “Paragone”. Quando Manganelli lascia definitivamente Milano, la poetessa si legherà a Salvatore Quasimodo, che chiama “Maestro” nelle intense liriche a lui dedicate. Nel 1953 Alda Merini si sposa: il marito, Ettore Carniti, è un uomo ben lontano dall’ambiente letterario, è un panettiere; a lui è dedicata la poesia Dies Irae contenuta nella raccolta Paura di Dio. Il 1955, oltre che data della terza raccolta Nozze Romane, è anche l’anno della prima maternità della poetessa: nasce Emanuela cui seguirà, dopo tre anni, la secondogenita Flavia, venuta alla luce insieme alle poesie che saranno inserite nell’antologia curata da Salvatore Quasimodo Poesia Italiana del dopoguerra edito da Schwarz. Dopo pochi anni, nel 1961, esce Tu sei Pietro.
È il 1965 quando Alda Merini viene internata nel manicomio milanese “Paolo Pini”. L’assenza dal mondo si protrae fino al 1972 con rari ritorni in famiglia durante i quali nascono altre due figlie, Barbara e Simona, cui segue l’abonimio della sterilizzazione forzata in manicomio. Dimenticata dagli editori, vedova dal 1981, dopo la penosa malattia del marito Ettore, Alda versa in condizioni di assoluta povertà. Fu Maria Corti nella primavera del 1982 a riportare a Paolo Mauri la propria delusione per la generale freddezza con cui le case editrici accoglievano le proposte della poetessa. Mauri offrì così lo spazio per la pubblicazione di trenta poesie sulla rivista da lui diretta “Il Cavallo di Troia”. Quelle trenta poesie accresciute di altre dieci divennero La Terra Santa raccolta curata da Maria Corti ed edita da Scheiwiller nel 1984, un capolavoro. La Terra Santa è un’opera nata per bisogno di catarsi che racconta il manicomio come grande “cassa di risonanza” del vissuto della poetessa. Merini riesce a trasformare, con i suoi versi, l’orrore del manicomio in luogo spirituale, alto, popolato di santi, profeti, angeli, mistici. È grazie a questa opera di traslazione poetica che ella si salva. Con La Terra Santa Merini è stata capace di “trasformare il manicomio in un santuario in onore della poesia”, scrisse a ragione Maria Corti nel suo libro Ombre dal Fondo.
La vita di Merini si traduce sempre in poesia: per motivi economici affitterà, nei primi anni Ottanta, una stanza della sua casa a un pittore che diverrà l’ispiratore delle belle Poesie per Charles pubblicate in Vuoto d’amore e sempre negli stessi anni si affaccia, in alcune poesie, l’amicizia, prevalentemente telefonica a quell’epoca, con Michele Pierri. Pierri è un medico ottantenne, pugliese, profondamente colpito dalla poesia di Alda Merini, ma anche dalla sua indigenza e solitudine. Ne scrisse in alcune lettere a Maria Corti, allora membro come lo stesso Pierri dell’Accademia Salentina fondata a Lucugnano dal poeta Girolamo Comi. Merini descriverà l’amico pugliese attribuendogli carisma e bellezza quasi “divina”. “Due poeti non si temono mai” scriverà in Delirio Amoroso raccontando del loro rapporto. Alda Merini lo sposa nell’ottobre del 1984 e si trasferisce a Taranto. Vi rimarrà tre anni, ma sarà un tempo che oscillerà tra felicità di un rapporto finalmente anelato e costruito nel nome della poesia e il rigetto per un ambiente divenuto difficile a causa della lunga malattia che coglierà Pierri: il ritorno a Milano avverrà nel luglio del 1986 dopo aver sperimentato nuovamente il ricovero in un reparto psichiatrico dell’ospedale di Taranto. I medici le consigliano di tornare a Milano dove la poetessa si affida alle cure della dottoressa Marcella Rizzo a cui saranno dedicate alcune liriche attualmente conservate presso il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia, testimoni del legame che Merini stabilì con la sua psichiatra e il difficile percorso terapeutico affrontato per risalire dal gorgo della malattia mentale.
Se Dino Campana, è noto, smise completamente di scrivere con l’ingresso in manicomio, Merini colpisce perché artefice di una grande opera di resilienza. Ella, infatti, oltre a rielaborare, per tutta la vita nelle sue opere la sua esperienza manicomiale, non perse mai l’abitudine di dedicare componimenti poetici ai medici che si presero cura di lei, basti citare il caso del Dottor G., lo psichiatra Enzo Gabrici a cui Alda Merini dedicò prose e lettere quando era ricoverata presso l’ospedale “Paolo Pini” di Affori. Il Dottor G. aveva compreso l’importanza della scrittura per Alda, quindi le mise a disposizione una macchina da scrivere del suo ufficio, le penne, infatti, erano vietate in manicomio poiché oggetti potenzialmente pericolosi. Tali testi ritrovati dopo trent’anni furono pubblicati solo nel 2008 nell’omonimo libro Lettere al Dottor G. e la loro pubblicazione è importante per chi studia l’opera di Alda Merini poiché utile a colmare il presunto ventennio di silenzio della poetessa creatosi durante gli anni dell’internamento. In verità Merini non smise mai di scrivere, la poesia non l’abbandonò mai, semplicemente non fu pubblicata per molto tempo.
Gli anni Ottanta segnano per Merini un tempo di ritorno ininterrotto sulla scena letteraria: ad esempio Raboni nel 1988 per Crocetti curerà Testamento, una selezione delle sue poesie più belle, a cui seguiranno molte altre pubblicazioni e sperimentazioni: dagli aforismi a tutta la produzione letteraria di stampo largamente spirituale e biografica. La produzione meriniana è davvero notevole e spesso dispersa nei cassetti di amici, conoscenti ed editori: frequenti divennero le sue visite presso la biblio-caffetteria Chimera gestita da Laura Alunno, non lontana dalla sua abitazione; qui stupisce avventori e clienti cedendo per poche migliaia di lire o una fetta di torta, i suoi dattiloscritti dai caratteri di una strana coloritura azzurrina: la bizzarra poetessa, infatti, batte i tasti della datata macchina da scrivere direttamente sulla carta carbone, poiché il nastro inchiostrato è esaurito da tempo… Molti a Milano la ricordano bene, la poetessa dei Navigli, che abitò tutta la vita al primo piano dello stabile in Via Ripa di Porta Ticinese, 47. Ora, di quella casa, è stato salvato solo il “muro degli angeli” la parete della camera da letto sul quale la poetessa appuntava frasi, disegni e numeri di telefono preferibilmente con il rossetto, la porta d’ingresso e poche suppellettili custodite presso lo Spazio Alda Merini in via Magolfa, 30. Ma il canto meriniano permane nella sua forza, passionalità, resilienza. Una lirica sempre metaforica, dal linguaggio contrastante, forbito e modesto insieme, erotico e spirituale. Un canto che avvicina Dio e uomo in molteplici modi. Merini mischia i registri, li sovrappone, li confonde. Misticamente.
Leggere Merini significa prepararsi al dualismo e al compenetrarsi di cielo e terra, di carne e trascendenza, di corpo e anima: probabilmente non vi è aspetto più interessante di questo nella poetica meriniana. Una voce potentemente ossimorica che trae il suo meglio dalla tensione dolorosa dell’umano, dalla consapevolezza della eterna coesistenza di angeli e demoni. Per dirlo con le parole che Manganelli utilizzò per presentare il volume L’altra verità. Diario di una diversa nel 1983:
“ […] la vocazione salvifica della parola fa sì che il deforme sia, insieme, se stesso e la più mite, indifesa e inattaccabile perfezione della forma. Solo angeli e demoni parlano lo stesso linguaggio, da sempre”. La forza di Merini risiede nella forza della poesia: grazie ad essa la poetessa non è stata soprafatta dalla vita, Maria Corti per questo la paragonava a una Fenice, capace di risorgere dalle proprie ceneri.
Ma cosa pensava di sé stessa Alda Merini? Questo il suo autoritratto:
Amai teneramente dei dolcissimi amanti
Senza che essi sapessero mai nulla.
E su questi intessei tele di ragno
E fui preda della mia stessa materia
In me l’anima c’era della meretrice
Della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.
Molto diedero al mio modo di vivere un nome
E fui soltanto un’isterica.
ALDA MERINI, La gazza ladra in Vuoto d’Amore, Einaudi, Torino 1991
Riflessioni a mano libera, senza margini, sull'essere donna, madre, sorella, figlia, compagna, vicina di casa. E sull'avere un corpo e una mente, riuscendo ad utilizzare entrambi con moderata disinvoltura.
Gravidanza, maternità e altri miti - PARTE III
di Lidia Leta
IL SENSO DI COLPA
Sarebbe forse auspicabile provare a mettere da parte la narrazione edulcorata e poetica che circonda gravidanza e maternità per sostituirla e integrarla con qualche informazione più realistica su un momento innegabilmente unico e incredibile della vita umana, fornendo a chiunque stia entrando in questo campo minato gli strumenti psicologici, cognitivi e pratici fondamentali per affrontarlo con maggiore consapevolezza. Altrettanto auspicabile sarebbe potenziare al massimo la diffusione di informazioni che impediscano gravidanze indesiderate, rendendo il più possibile chiare e accessibili le opzioni contraccettive esistenti; supportare le donne intenzionate ad affrontare l’interruzione volontaria di gravidanza considerandola finalmente una libera scelta, e non un omicidio legalizzato, come spesso la società, la politica e la quantità irragionevole di medici obiettori di coscienza presenti negli ospedali italiani potrebbero indurre a credere, determinando una drammatica moltiplicazione dei dubbi che già quasi sempre attanagliano una decisione solenne come quella abortiva e favorendo spesso scelte forzate da etiche altrui; sostenere la genitorialità attraverso servizi di counseling e assistenza permanenti, che – senza invadere la privacy delle famiglie in fase di adattamento ma stabilendo percorsi più o meno duraturi e più o meno strutturati, a seconda delle esigenze specifiche – favoriscano il raggiungimento di nuovi equilibri.
Sarebbe importante, inoltre, non sottovalutare una spia lieve, sottile, quasi invisibile, di disagio potenzialmente deflagrante: il senso di colpa, quello che accompagna alcune versioni meno fortunate di maternità. Il senso di colpa di chi, ovviamente desiderando moltissimo un figlio, trascorre anni su anni a collezionare test di gravidanza negativi, iniziando col domandarsi cosa non vada nel proprio corpo per poi innescare un’escalation di visite mediche ed esami diagnostici sempre più invasivi, fino ad arrivare in alcuni casi alla temuta PMA (per i meno avvezzi: Procreazione Medicalmente Assistita). Il senso di colpa di chi, approcciandosi al mondo complesso e di frequente molto costoso, se non addirittura proibitivo, della PMA, si chiede quale possa essere il motivo karmico o la volontà divina che rende tanto difficile e dispendioso, in termini fisici, emotivi e – vale la pena ribadirlo – economici, un atto che per i più è naturale, fisiologico, in qualche caso banale: qual è la colpa originaria, l’imperdonabile manifestazione di hybris, che possa aver causato una condanna così severa?
Esiste anche il senso di colpa di chi rimane incinta, anche molto facilmente, ma non riesce a portare avanti la gravidanza. L’incubo della poliabortività genera, non di rado, quesiti che partendo dal legittimo campo medico si spostano su quello esistenziale: perché non si è in grado di far crescere una vita nel proprio corpo, questo pensiero è un tarlo che si insinua e tormenta, rosicchiando non poche sicurezze.
Il periodo della vita in cui non si aspetta un figlio ma si cerca una gravidanza è estremamente delicato, specie dopo anni di tentativi fallimentari: si inizia inevitabilmente a sentirsi difettose, fallate, incapaci di fare “quello che le donne fanno da sempre”. Non conta la provenienza geografica, il titolo di studio, l’Erasmus all’estero, la presenza più o meno coinvolta del partner: quando si entra nel tunnel dell’infertilità ci si spezza, si perdono mensilmente minuscole briciole di cuore insieme all’endometrio sfaldato del ciclo mestruale, si lascia che la biologia corroda un’integrità psicologica spesso costruita con fatica, magari con anni di psicoterapia.
Da non sottovalutare, infine, il senso di colpa di chi trascorre i primi giorni da genitore, in alcuni casi i primi mesi, in un reparto di terapia intensiva neonatale. Perché succede, e succede molto più spesso di quanto ci si aspetti. I genitori dei neonati ricoverati in TIN si riconoscono facilmente, perché vanno in ospedale ogni giorno, anche più volte, se concesso; si riconoscono perché il giorno delle dimissioni della mamma, che ancora cammina a fatica, è pallida, probabilmente piange sommessamente, se ne tornano a casa col viso spento, senza pargolo infagottato, soli di una solitudine nuova, che non li avvicina l’uno all’altro ma li respinge e si autoalimenta; si riconoscono perché arrivano sempre in ospedale con una borsa frigo, piena di piccole boccette di latte materno, spremuto da un tiralatte, a freddo, senza la sognante dolcezza dell’allattamento immaginato durante la gravidanza, quando leggendo articoli sul tema ci si identificava con tutte quelle foto di donne bellissime e sorridenti, sedute su romantiche sedie a dondolo, con bimbi paciocconi avvinghiati teneramente al loro seno. Stranamente nessun articolo letto nei miei nove mesi di gestazione proponeva foto di donne stravolte, sedute al centro di letti sfatti, con tiralatte a noleggio e borse frigo pronte ad accogliere sempre troppo poco latte materno, perché – notizia flash per i puristi dell’allattamento al seno – certe volte il latte non viene, il latte se ne va, il divino nettare bianco con cui disperatamente si vorrebbe nutrire il proprio figlio, risparmiando la spesa esorbitante del latte artificiale e lo strazio di essere ancora una volta inadatta, fallata, quel benedetto liquido prezioso come l’oro sparisce, tra una visita e l’altra all’altare di una silenziosissima culletta termica. E c’è anche il senso di colpa di chi un figlio non lo porterà mai a casa, nonostante il parto, il dolore, le settimane di terapia intensiva: c’è anche chi proverà il dolore inconcepibile di tornare a casa e ritrovare una stanzetta bellissima, immaginata prima e preparata poi curando ogni minimo dettaglio, pronta ad accogliere nessuno a parte lo sconforto della culla vuota.
FAUSTA CIALENTE
“[...] il compito del narratore, a mio vedere, è anzitutto quello di rappresentare.
Un libro che si apre è come un sipario che si alza: i personaggi entrano in scena,
la rappresentazione comincia”.
Così, con queste parole contenute nell’Avvertenza di Cortile a Cleopatra, il suo secondo romanzo (il primo, Natalia, verrà stampato in pochissime copie andate esaurite quasi subito e poi accantonato per lungo tempo a causa di problemi con la censura fascista), Fausta Cialente dichiara programmaticamente il suo ruolo di scrittrice, o meglio, come preferirà sempre definirsi, di narratrice. Un ruolo che ricoprirà per oltre cinquant’anni: più o meno dal 1930 al 1986, da Natalia appunto alle ultime traduzioni (Giro di vite di Henry James su tutte) e apparizioni pubbliche.
Di tutto il Novecento Cialente è stata interprete e testimone; presenza assidua nel contesto culturale italiano quando era in vita, singolarmente assente dal dibattito (e dai cataloghi, se si escludono i recentissimi tentativi di recupero de La Tartaruga e Nottetempo) in seguito alla sua morte, avvenuta nel 1994 nel Berkshire, vicina alla figlia - che aveva sposato un diplomatico inglese - e lontana dai riflettori.
La sua esistenza è stata una continua peregrinazione tra varie città d’Italia, l’Egitto, il Kuwait, fino al definitivo trasferimento in Inghilterra; e mai smise di sentirsi “straniera dappertutto”. Il suo essere schiva la portò a tramandare scarsamente le fonti della propria vicenda personale e letteraria; “di un'intera vita affidata alla scrittura restano solo pochi frammenti discontinui che, da soli, renderebbero inevitabilmente sommaria ogni inchiesta sulle relazioni interpersonali, la genesi dei testi, i rapporti con gli editori”, scrive la studiosa Francesca Rubini.
Nasce a Cagliari nel 1898, seconda figlia di Alfredo, aquilano, ed Elsa Wieselberger, triestina, che per il matrimonio - peraltro non troppo felice - aveva rinunciato a una promettente carriera come cantante lirica; il fratello maggiore Renato sarà un talentuoso attore e morirà nel 1943 in circostanze misteriose, investito da un automezzo militare tedesco all’uscita di un teatro. Il lavoro del padre, ufficiale di fanteria, porta la famiglia a cambiare spesso città di residenza, ma la sua formazione avviene prevalentemente nell’ambiente culturale mitteleuropeo di Trieste. Si trasferisce in Egitto nel 1921 a seguito del matrimonio col compositore (e per necessità agente di cambio) Enrico Terni, esponente di una famiglia ebrea da generazioni insediata ad Alessandria. Vi resterà fino al 1947, tra Alessandria e il Cairo, pubblicando una parte importante della sua produzione. Risalgono infatti al “periodo egiziano” Marianna, il suo primo racconto, pubblicato nel 1929 su “L’Italia letteraria”, che nel 1933 vincerà il Premio Galante (così chiamato perché conferito esclusivamente alle donne); Natalia, al quale nel 1930 un comitato presieduto da Massimo Bontempelli assegnerà il Premio dei Dieci; il succitato Cortile a Cleopatra, che affronterà una vicenda editoriale complicata - raccontata con dovizia di particolari in una fitta corrispondenza con Sibilla Aleramo - e inizialmente uscirà a puntate di nuovo su “L’Italia letteraria” e solo nel 1936 completo per Corticelli grazie all’intermediazione della madre Elsa; e infine Pamela o la bella estate (1935, ma ripubblicato in Interno con figure nel 1976). Dal suo punto di vista “privilegiato”, lontano - anche fortunatamente, considerate le origini del marito - dai rivolgimenti politici italiani, resta comunque un’acuta osservatrice delle vicissitudini dello stivale. Così scrive ne Le quattro signorine Wieselberger, che quarant’anni dopo vincerà il premio Strega:
“Mi ero sposata qualche anno dopo la fine della guerra e avevo lasciato l'Italia mentre il fascismo, che s'era apertamente messo al servizio d'una miope politica di conservazione, andava facendosi le ossa. La borghesia, fossero gl'industriali del nord o gli agrari del sud, aveva più che mai l'aria di volersi finalmente vendicare sulla massa di tutte le paure sofferte dopo Caporetto - le rivolte, gli scioperi, le settimane rosse - e si proponeva senza ulteriori indugi ad agguantare il potere. Il caso volle che al mio primo viaggio di ritorno dall'Egitto mio marito ed io assistessimo a Milano alla partenza della "Marcia su Roma". Una sparuta e scarsa marmaglia in camicia nera e nappe ballonzolanti era radunati in piazza del Duomo, nel semibuio d'una sera d'ottobre; pochissima gente intorno e dalla Galleria, dove noi eravamo, partirono qualche fischio e qualche applauso, ma nulla di più. Già si sapeva che quei bravi sarebbero comodamente andati in treno e difatti, scendendo poi l'Italia per imbarcarci a Brindisi, li avremmo ritrovati a Firenze”.
Il fascismo certamente influirà sulle sue scelte di vita successive; come pure si farà strada in lei una nuova consapevolezza acquisita dalla frequentazione dei contadini egiziani, verso cui il marito nutriva - nella migliore delle ipotesi - diffidenza. La colonia italiana di Alessandria va progressivamente “fascistizzandosi” e poi, in seguito all’offensiva di Mussolini in Egitto, diventa oggetto delle politiche repressive degli inglesi. Dal 1940 (e per quasi 20 anni) Cialente abbandona del tutto l’attività narrativa per dedicare tutte le proprie energie all’impegno nella divulgazione di contenuti antifascisti. La casa di famiglia si trasforma in luogo di passaggio di fuoriusciti e dissidenti mentre lei si trasferisce al Cairo (1941) per condurre una trasmissione radiofonica su incarico degli uffici inglesi della propaganda.
“quando [...] mi venne offerto d'iniziare una trasmissione antifascista alla radio del Cairo, accettai subito; non con entusiasmo, perché sarebbe stato difficile averne nelle condizioni in cui mi sarei trovata, sia lo sapevo, collaborando con quello che avrebbe dovuto essere il "nemico ufficiale" e del cui sincero anti-fascismo dubitavo assai; ma lo sentii lo stesso come un preciso dovere. Era un'arma che la sorte mi poneva in mano e con quell'arma, astuzia aiutando, sul fascismo avrei finalmente sparato anch'io.”
Nel 1943 insieme alla compagna d’avventura Laura Levi fonda il settimanale Fronte Unito, destinato ai prigionieri italiani di guerra che affollavano i campi del Medio Oriente, sulle cui pagine è pubblicato anche un racconto di Alba de Céspedes.
Nel 1947 si conclude il suo periodo egiziano: Cialente torna in Italia, a Roma, dalla madre, mettendo fine sia al matrimonio che alla relazione clandestina che nel frattempo aveva intrecciato col capitano Albert Nacamuli, milite delle forze britanniche. Di quel periodo restano le interessantissime pagine di Diario di guerra, per lei molto dolorose e difficili da affrontare a posteriori, come afferma in una lettera a Laura Levi:
«Questo mio giornale di guerra mi pento d’averlo fatto e poi anche conservato. Rientrarvi, per me, significa buttarmi dentro le fiamme d’un piccolo inferno - perché le guerre sono inferno e gli uomini in guerra sono infernali, e non sempre eroi».
A Roma l’attività giornalistica prevale ancora su quella narrativa, ma comincia a delinearsi un progetto letterario che la impegnerà fino alla metà degli anni Sessanta, un romanzo in prima persona dedicato alla Resistenza nel Medio Oriente. Il rinnovato slancio narrativo si concretizzerà in Ballata Levantina (1961), finalmente accolto bene anche dalla critica - dopo il riconoscimento tardivo di Cortile a Cleopatra a opera di Anna Banti. Grande favorito allo Strega di quell’anno, viene però battuto per un soffio da Ferito a morte di Raffaele La Capria. Ballata levantina ricostruisce la parabola discendente del levantinismo in Egitto ma è impostato come un romanzo di formazione: protagonista è Daniela, italiana cresciuta ad Alessandria con la nonna, giovane donna allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Nel 1966 è la volta di Un inverno freddissimo, romanzo familiare ambientato nella Milano del secondo dopoguerra, durante il lungo inverno del 1945-46, che verrà trasposto nello sceneggiato televisivo Camilla, con Giulietta Masina (Cialente troverà la trasposizione a dir poco sgradevole). Anche questo romanzo entra nella cinquina dello Strega senza vincere. L’impresa le riuscirà solo nel 1976, a 78 anni, col suo libro più celebre, Le quattro ragazze Wieselberger: una potente autobiografia in cui la rievocazione del mito familiare nella Trieste del primo Novecento si allarga diventando atto d’accusa contro una borghesia miope e rapace. Quantomeno curioso, giacché nel 1933 Cialente aveva pubblicato nell’Almanacco letterario Bompiani un intervento indicativo della sua volontà di smarcarsi dalla narrativa italiana ‘di genere’, in cui denunciava l’«ossessione autobiografica» della letteratura femminile in voga nell’Italia fascista e la «mancanza di audacia nella forma», ancora condizionata dall’«estetismo dannunziano».
Quattro come le ragazze Wieselberger sono anche le sorelle March, protagoniste di Piccole donne, che Cialente affronta sempre nel 1976 inaugurando così la sua ultima stagione letteraria, quella delle traduzioni, che durerà dieci anni, fino all’ottima versione di Giro di vite di Henry James, tuttora in uso. Pur nella gioia di potersi confrontare con un pubblico giovane (la traduzione è destinata a una collana per ragazzi curata da Maria Bellonci), non manca di sottolineare l’assenza dal libro di tematiche quali la guerra civile e il razzismo, che certo non erano estranee all’America di quegli anni.
Il 1976 è il suo anno d’oro: ma lei ha ormai 78 anni, viene apostrofata dai giornalisti - anche teneramente - come Nonna Romanzo, come se stesse appena esordendo, e invece coi suoi scritti aveva già segnato un quarantennio. Scritti che comunque scompaiono gradualmente dai cataloghi: Cialente non è un personaggio particolarmente mediatico, sembra fuori dal tempo, costringe le generazioni presenti a fare i conti col passato. Lei di suo fa ormai vita ritirata, fa la nonna davvero nel Berkshire, non si cura più del dibattito pubblico. Il suo romanzo più famoso resterà infine il suo testamento letterario.
DA VEDERE
Daguerréotypes, un documentario strano e bello di Agnès Varda
Il mistero negato, quello del corpo delle donne e del sangue generatore di vita, è al centro della mostra dell’artista Clelia Mori al Lavatoio Contumaciale di Roma fino al 20 novembre
Ceremony la mostra di illustrazioni di Monica Lasagni al The Clubbino, a Parma, fino al 18 novembre
la mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life a cura di Nadia Fusini e Luca Scarlini, a Palazzo Altemps a Roma fino al 12 febbraio 2023
DA ASCOLTARE
Il discorso di Liliana Segre al Senato della Repubblica
Articles of Interest, un podcast sulla moda che ci ha spiazzate;
il 5 novembre è morta Mimi Parker, la cantante e batterista del duo Low: abbiamo riascoltato l’album Trust (2002), è bellissimo
Zaynab, il nuovo podcast di Internazionale che racconta la storia di una calciatrice afghana in fuga dai taliban
DA LEGGERE
Giorgia Antonelli si interroga sulle responsabilità degli insegnanti nel valorizzare la letteratura attraverso l’elaborazione di letture fuori dai consueti schemi didattici, su Doppiozero
Autrici, queste sconosciute. Come (non) se ne parla all’università in un articolo di Rachele Cinerari e Luca Pinelli su Limina Rivista
Un'interessante intervista di Silvia Gola a Sarah Gainsforth, autrice di Abitare Stanca, su Singola
Riflessione dolorosa e necessaria di Lucia Brandoli sul rifiuto collettivo di prendere atto di ciò che (di prevalentemente brutto) ci sta capitando intorno su The Vision
Anna Toscano sulla scrittura di Ágota Kristóf su Doppiozero
Cosa si è rotto nella lingua italiana degli scrittori di Giorgio Fontana su Doppiozero
L’intervista a Monica Gagliano, scienziata e autrice di Così parlò la pianta, sull’intelligenza delle piante a cura di Andrea Cafarella su Singola
DA NON PERDERE
L’edizione 2022 di Il faro in una stanza, festival dedicato a Virginia Woolf e organizzato da Virginia Woolf Project, a Monza il 12 e 13 novembre.Masterclass online dei fratelli Dardenne dal 63° Festival dei Popoli su MYMovies.it, l’11 novembre e disponibile on-demand fino al 14 novembre.
Se vuoi segnalarci autrici da scoprire, se vuoi dare il tuo contributo a questa newsletter e consigliarci eventi, libri, letture, film, podcast, o anche solo dirci “ciao” rispondi a questa mail oppure scrivici a missconosciute@gmail.com! Saremo felici di conoscerti!
Per non perderti niente di ciò che facciamo, puoi seguirci su Instagram e Facebook
Puoi ascoltare il nostro podcast su tutte le piattaforme audio (Spreaker, Spotify, iTunes)
Se ti va, puoi offrirci un caffè qui. :) P.S.: Nello shop sono ancora disponibili alcuni calendari e le shopper! Scopri come averle cliccando qui!)
Nel 2022 siamo diventate un’associazione di promozione sociale: se vuoi sostenerci e aiutarci a crescere e a mantenere vivo il nostro slancio, puoi devolvere il 5x1000 della tua dichiarazione dei redditi a nostro favore, firmando e indicando il codice fiscale di MIS(S)CONOSCIUTE APS: 96 49 32 80 588. Se vuoi fare una donazione all’APS a questo link trovi tutte le info!
Se non vedi la newsletter…
… controlla la casella spam e contrassegna questo indirizzo email come sicuro. Se la newsletter non è in spam, probabilmente è nella tab “promozioni” della tua casella mail.
Se hai perso le newsletter precedenti, trovi tutto sul sito.
Grazie ancora e, se ti va, condividi il nostro progetto con chi vuoi :)